di Beniamino Franceschini
Pochi ebbero in sorte di essere risparmiati dalla furia di coloro che, in futuro, sarebbero divenuti onorevoli, senatori, scrittori, opinionisti televisivi. Nessuno può certo predicare l’assoluta integrità del sistema, ma sarebbe l’ora che anche chi sostiene la provvidenzialità di quella stagione ammettesse che molto spesso il diritto è stato calpestato proprio da alcuni degli incaricati a difenderlo.
La Giustizia non dovrebbe conoscere l’odio. Tuttavia, dopo vent’anni, la cronaca dovrebbe mutare in storia, ossia gli eventi dovrebbero essere affrontati con maggiore neutralità. Difficilmente ciò avverrà, almeno fintanto che i protagonisti di allora continueranno a pretendere di mantenere il proprio ruolo – disinteressato? – nell’Italia di oggi.
Sergio Moroni non resisté e compì l’estremo gesto: alcuni ritengono che, senza un processo che ne attesti la posizione, egli non possa essere riabilitato. Non so esprimermi, poiché, di fronte alla morte e privo di strumenti reali, non posso che sospendere il giudizio.
Qui di seguito, ripropongo un articolo pubblicato da “Critica Sociale” e la lettera che Moroni indirizzò all’allora presidente della Camera dei Deputati, Giorgio Napolitano.
“La profezia si avvera: ora è Achille che muore, come disse l’Ettore morente”
A vent’anni di distanza il “gesto” di Sergio Moroni va ricordato non per una cerimoniale commemorazione, ma soprattutto per restituirgli verità e giustizia. Quella verità e giustizia che in questi venti anni gli sono state negate. Quando lo compì non fu possibile. Nel “chiasso” di quel settembre 1992 prevalsero l’intimidazione e la mistificazione. Lo stesso Giorgio Napolitano destinatario della lettera in cui Moroni motivava il suo “gesto”, ha ammesso – nel 2006 – di essere stato in quell’occasione reticente, se non pavido: “Avrei forse dovuto, quel giorno, dire di più”.
Di fronte alla notizia del suicidio i pm di “Mani Pulite” si riunirono e dopo due ore i magistrati convocarono i giornalisti dichiarandosi “sereni”. Il futuro senatore Gerardo D’Ambrosio scandiva: “Si vede che c’è ancora qualcuno che per vergogna si suicida, per il resto non posso entrare nella mente di un altro”. E Piercamillo Davigo così commentava il dolore dei compagni socialisti di Moroni: “Piuttosto dovrebbero interrogare le loro coscienze coloro che con lui hanno commesso questi reati”. Si era in “fase preliminare”, ma la “presunzione d’innocenza” non era contemplata. Moroni – senza mai essere stato ancora sentito dagli inquirenti e senza che ancora fossero iniziate le indagini per cui era necessaria l’autorizzazione a procedere della Camera dei Deputati – era già stato pubblicamente condannato con sentenza definitiva. All’epoca quei pubblici ministeri dai loro giornalisti erano, infatti, chiamati “giudici”. (“Critica Sociale“, 30/08/2012)
Ecco la lettera di Sergio Moroni a Giorgio Napolitano:
Egregio Signor Presidente,
ho deciso di indirizzare a Lei alcune brevi considerazioni prima di lasciare il mio seggio in Parlamento compiendo l’atto conclusivo di porre fine alla mia vita.
E’ indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere nel nostro paese, della sua democrazia, delle istituzioni che ne sono l’espressione. Al centro sta la crisi dei partiti (di tutti i partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo. Eppure non è giusto che ciò avvenga attraverso un processo sommario e violento, per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito delle “decimazioni” in uso presso alcuni eserciti, e per alcuni versi mi pare di ritrovarvi dei collegamenti. Né mi è estranea la convinzione che forze oscure coltivano disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la “pulizia”. Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C’è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste regole.
Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere, ancora prima sul piano morale che su quello legale. Né mi pare giusto che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive, a cui è consentito di distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto d’informazione, ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie. A ciò si aggiunge la propensione allo sciacallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori. Non credo che questo nostro Paese costruirà il futuro che si merita coltivando un clima da “pogrom” nei confronti della classe politica, i cui limiti sono noti, ma che pure ha fatto dell’Italia uno dei Paesi più liberi dove i cittadini hanno potuto non solo esprimere le proprie idee, ma operare per realizzare positivamente le proprie capacità e competenze. Io ho iniziato giovanissimo, a solo 17 anni, la mia militanza politica nel Psi. Ricordo ancora con passione tante battaglie politiche e ideali, ma ho commesso un errore accettando il “sistema”, ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il partito si giustificasse in un contesto dove questo era prassi comune, né mi è mai accaduto di chiedere e tanto meno pretendere. Mai e poi mai ho pattuito tangenti, né ho operato direttamente o indirettamente perché procedure amministrative seguissero percorsi impropri e scorretti, che risultassero in contraddizione di “ladro” oggi così diffusa. Non lo accetto, nella serena coscienza di non aver mai personalmente approfittato di una lira. Ma quando la parola è flebile, non resta che il gesto. Mi auguro solo che questo possa contribuire a una riflessione più seria e giusta, a scelte e decisioni di una democrazia matura che deve tutelarsi. Mi auguro soprattutto che possa servire a evitare che altri nelle mie stesse condizioni abbiano a patire le sofferenze morali che ho vissuto in queste settimane, a evitare processi sommari (in piazza o in televisione) che trasformano un’informazione di garanzia in una preventiva sentenza di condanna.
Con stima.
Sergio Moroni