La prefazione de L’anticristo nietzscheano, di fronte all’umanizzazione part-time, facilona, costretta, buona se conviene, portata in trionfo dalla risma degl’improvvisati “bananicoli”, pare persino indulgente. Beninteso, qui non si tratta di giustificare l’ingiustificabile, né tantomeno di schierarsi, quantunque allusivamente, a favore delle becere espressioni razziste che qualificano le persone in un conato di stupida appartenenza. Qualche merito, sia pur per difetto e talvolta distorto, ce l’ha pure il culto della ragione.
Tra questi vi è anche quello di aver gettato luce sulle millenarie mostruosità circa la superiorità della razza (non tutte, a dire il vero. Ad esempio, le tendenze eugenetiche dei civili popoli del nordeuropa, o una certa intolleranza d’ascendenza puritana cara alla superiore elementarietà dei thinkers americani ed australiani, rimangono ancora belle solide). Le razze, geneticamente, non esistono. Gli ultimi orientamenti degli esperti ci dicono anzi che ve n’era una sola, africana, da cui tutte le altre deriverebbero. Se la diversità razziale è un falso mito moderno relegato a sciocchezza da quella stessa scienza che, da Linneo in poi, ne aveva invece postulato la validità, è altrettanto vero che esistono apprezzabili differenze tra uomo e uomo, a prova di “razza” comune. Zarathustra, a tal proposito, non accampa dubbio alcuno: “così parla a me la giustizia : - gli uomini non sono uguali. E neppure devono diventarlo”. Differenze che non vengono da un genotipo particolare, ma che il buonsenso riesce a scorgere da solo, avulso da qualsiasi scienza che se ne faccia garante. Non importa se questa difformità derivi dall’ambiente, dalle sedimentazioni storiche, culturali, morali, dall’esercizio della volontà e del libero arbitrio, o ancora dalla singolarità che ognuno incarna, o più verosimilmente dalla commistione imponderabile e caotica di tutte queste componenti. Con buona pace dei semplificatori per spirito di flessione alle mode o per mancanza d’impegno conoscitivo, gli uomini tra loro sono diversi. Lo si chiami razzismo, ambientalismo, evoluzionismo, culturalismo, o si conino invece altri aggettivi ad hoc per qualificarne la significazione, il senso non cambia. In realtà, la spettacolarizzazione del gesto di Dani Alves, dimostra semplicemente, per contrasto, la sordida e repressa xenofobia delle anime belle.