Pensare che l'Antartide era già stato intravisto da una quarantina di anni, pensare che era il tempo delle scoperte geografiche, delle esposizioni universali, delle mappe che cambiavano di anno in anno. Le terre lontane diventavano sempre meno lontane, ma le Alpi, nel cuore dell'Europa, rimanevano posti remoti e sostanzialmente poco conosciuti. Ancora nel 1873 la viaggiatrice inglese Amelia Edward pubblicava un libro dal titolo Untrodden peaks and unfrequented valleys: cime inviolate e valli sconosciute.
Ma soprattutto le Dolomiti, le Dolomiti che ancora non erano le Dolomiti. Un altro viaggiatore, il francese Jules Leclercq poteva scrivere di quei montanari: I selvaggi dell'Africa centrale provano meno stupore di loro alla vista di uno straniero.
Poi arrivarono loro, i due viaggiatori britannici Josiah Gilbert e George Cheetham Churchill (a proposito di nomi, due nomi che sembrano la quintessenza dell'impero britannico). Si innamorarono delle Dolomiti che non erano le Dolomiti e decisero di battezzarle in quel modo, richiamando la pietra di queste montagne, la dolomia. Era il 1864, usciva il loro libro, The Dolomite Mountains. Come andò a finire lo ha raccontato Pietro Veronese, sulla Repubblica di qualche tempo fa:
La parola ebbe successo immediato. I viaggiatori successivi l'adottarono subito, nuovi libri di altri autori la ripresero. Le Dolomiti divennero una moda elegante, certamente molto elitaria.
Soprattutto le Dolomiti erano diventate le Dolomiti.