Quando Mister HITCHCOCK incontrò Monsieur TRUFFAUT

Creato il 17 ottobre 2015 da Masedomani @ma_se_domani

Il Festival de Cannes è una fucina di eccellenze. Non c’è che dire, ciò che viene scelto per la selezione ufficiale, nel bene o nel male, ti si scolpisce nella memoria. Questo non vuol dire che talvolta siano misteriosamente escluse grandi opere (immancabilmente agguantate dalla vispa Quinzaine) per favorire prodotti più autoriali e meno fruibili, anzi, al limite dell’incomprensibile, però, il 90% di ciò che viene proiettato a maggio sulla Croisette è un successo annunciato. Siano film di animazione, cortometraggi di nuove promesse, documentari più o meno sperimentali. E proprio di un documentario parliamo oggi: HITCHCOCK – TRUFFAUT che, dopo il suo debutto a Cannes nella sezione Classics, è diventato l’oscuro oggetto del desiderio dei frequentatori dei festival. Io sono riuscita a recuperarlo grazie al Festival Lumière.

Hitchcock e Truffaut sono due nomi così imponenti da farci venire i tremori. L’idea che un giovane cineasta (Truffaut) francese intervistasse il maestro del brivido (Hitchcock) inglese, con più di quaranta film sulle spalle, per scrivere un libro “riabilitativo”, ha dell’incredibile e sapere che, oltre a quel volume (diventato sacro per chi ami la settima arte e/o vi lavori), le bobine di quanto accadde a Hollywood per una lunga settimana durante il montaggio de GLI UCCELLI sono da qualche anno pubbliche, è cosa da togliere il sonno.

Kent Jones, documentarista e co-sceneggiatore di JIMMY P., ha accettato la sfida, insieme a Serge Toubiana (co-sceneggiatore) si è addentrato in chilometri di fotogrammi, ha intervistato i migliori registi della nostra epoca ad ha confezionato un lungometraggio unico, divertente, corredato di perle di guru come Martin Scorsese, Wes Anderson, David Fincher, Richard Linklater e molti altri, riuscendo a portare su grande schermo un testo in-toc-ca-bi-le in modo elegante e intrigante.

Il ritratto che emerge del regista britannico è, infatti, moderno e brillante: Hitchcock amava tirare la corda, in un certo senso si beffava delle regole, sfidava le convenzioni per intrattenere il pubblico in modo imprevedibile. La provocazione maggiore è verso l’utente che, nonostante veda con gli occhi del protagonista, riesce a essere preso in contropiede e a sobbalzare dalla sedia oggi come ieri.

Truffaut e Hitchcock – Photo: courtesy of FDC

Ma, quali elementi rendono i capolavori di Hitchcock ancora così speciali? Sicuramente le inquadrature e l’uso della luce ma, soprattutto, il fatto che il signor Alfred Hitchcock fosse nato nel 1899. Aveva una marcia in più: assistette alla completa evoluzione del fare cinema, acquisì tecniche che i colleghi del nuovo millennio non possiedono. Il cinema muto è stato il suo asso nella manica, averlo vissuto, provato, gli ha permesso di far fruttare molti escamotage dei primordi per travolgere e sconvolgere l’audience. E, come dicevamo in apertura, i suoi film riescono a tenere sulla corda una platea ancora nel 2015 (senza contare che nessuno è mai riuscito a eguagliarlo).

E Jones ci conquista proprio “alla Hitchcock”: alterna filmati dell’epoca a clip tratte da LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE, SABOTAGE, PSYCHO (e non solo) montandoli come fossero un giallo, creando in noi quell’attesa tipica della suspense che non annoia e stupisce sempre. Ci svela aneddoti e qualche tecnicismo che da domani cercheremo e, soprattutto, ci porta in quella stanza in cui stima e amicizia permisero di scrivere pagine di storia del cinema.

Vissia MENZA

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