Questa storia ha inizio dalla nascita della consapevolezza, cioè da quando la mia memoria di bambino non si è più limitata a popolarsi di sensazioni ed emozioni evaporabili, ma ha premuto il tasto REC cominciando a generare ricordi.Fine anni ’60. A casa dei miei genitori la musica si ascoltava sostanzialmente da tre fonti: un televisore, un giradischi e una radio.Il televisore era un ingombrante Philco, tutto legno, valvole e manopole. Naturalmente in bianco e nero, naturalmente mono. Si ascoltava quello che passava il convento, come si suol dire. In pratica, le proposte musicali erano concentrate quasi esclusivamente nel varietà del sabato sera che, non a caso, si chiamava Canzonissima, più qualche sigla di programmi pomeridiani quotidiani, tipo Avventura o Gli eroi di cartone.Quelli più grandicelli di me ricorderanno anche una trasmissione sperimentale di Renzo Arbore, Per voi giovani, dove gli ospiti si esibivano dal vivo e il confronto con il pubblico in studio era spesso aspro.Il giradischi era un Lesa, molto simile a una valigetta grigia, ruvida, che si trasformava magicamente in un preistorico impianto stereo con due altoparlanti e un piatto un po’ rudimentale, ancora a quattro velocità (16/33/45/78 giri). Con tutta la sua approssimazione, era l’unica opzione stereo di quei tempi.La radio era un elegante parallelepipedo color legno, con il frontale nero e una fila di tasti rossi: la filodiffusione. Oltre ai tre canali radiofonici della Rai, c’erano altre stazioni che trasmettevano ininterrottamente musica, suddivisa per generi. L’elenco completo del palinsesto musicale quotidiano era consultabile nelle ultime pagine del RadioCorriereTv. Quest’ultima circostanza mi iniziò alle registrazioni pianificate, che effettuavo collegando alla filodiffusione un registratore Grundig di mio padre. Nacquero così le mie prime raccolte di musica, incise sulle mitiche audiocassette BASF.Negli anni ’70 era ancora in pieno boom la moda dei 45 giri. Il mercato discografico era in forte espansione e i singoli si vendevano come il pane. Anche perché si potevano ascoltare senza bisogno del giradischi di casa, grazie al mangiadischi, il bisnonno del lettore mp3. Possiamo definirlo un juke-box monodose portatile, con l’altoparlante incorporato (mono, manco a dirlo) sulla sommità e il manico o la tracolla. Era l’ideale per i momenti in cui si cercava la comodità – che regala sempre un senso di libertà – sorvolando sulla qualità.Naturalmente anche all’epoca esistevano gli impianti stereo domestici di alta fedeltà, ma i costi decisamente
elevati ne permettevano l’acquisto soltanto ai musicofili particolarmente benestanti.Per ascoltare musica in automobile, a cavallo degli anni ’60 e ’70 ebbero un certo successo gli Stereo 8, nastri un po’ troppo voluminosi, ben presto soppiantati dalle più pratiche musicassette. Questo passaggio di consegne comportò anche il moltiplicarsi delle autoradio, prima fisse poi estraibili.Nei primi anni ’80, quando il fenomeno delle radio libere si era ormai affermato e l’offerta musicale radiofonica (e quindi gratuita) era vasta e qualitativamente ottima, si diffuse la moda dei Radioregistratori (i cosiddetti radioni), piccoli impianti stereo portatili che consentivano di registrare su musicassetta. I più sofisticati permettevano addirittura la duplicazione delle musicassette.Siamo a metà della storia. Arrivano i primi stipendi e inizia la “costruzione” di un impianto stereo personalizzato: piatto, piastra, amplificatore, sintonizzatore, casse, cuffie.Contemporaneamente, prende avvio la miniaturizzazione delle apparecchiature: fa la prima comparsa il walkman, lo zio del lettore mp3, grande poco meno di un libro della Sellerio, alimentato a batterie, per l’ascolto delle musicassette con le cuffiette.A fine anni ’80 irrompono i compact disc, destinati a sostituire gradualmente i 33 giri in vinile (i 45 giri sono scomparsi da tempo), e si trascinano appresso una rivoluzione tecnologica che manda rapidamente in pensione le musicassette e relega gli LP a una fetta di mercato che eufemisticamente può definirsi di nicchia. Anche se, dal punto di vista qualitativo, gli esperti sono concordi nel dire che il vecchio vinile suona meglio del cd.Negli impianti stereo bisogna trovar posto al lettore cd. I modelli di autoradio con lettore di musicassette devono essere sostituiti con quelli più moderni per ascoltare il nuovo supporto digitale. Anche i “giovani” walkman devono lasciare già il posto ai lettori portatili di cd. E’ una vera rivoluzione, anche commerciale.E siamo agli anni ’90.La tecnologia ha una brusca accelerazione. Noi che siamo seduti comodamente in poltrona ad ascoltare musica alle cuffie, veniamo schiacciati contro lo schienale come se il tempo avesse messo il turbo. Sentiamo l’impazienza della modernità che si avvita sempre più velocemente nel tentativo di mordersi la coda.La sequenza è breve ma micidiale, devastante, irreversibile, incurabile, e si avventa sulla musica senza lasciarle il tempo di difendersi: computer, internet.Un’esplosione nucleare. Tutto avviene molto in fretta e niente sarà più come prima.Con il computer si possono clonare i cd musicali. Crollano le vendite dei prodotti originali e fiorisce un mercato sotterraneo di copie fatte in casa. Identiche all’originale.E’ solo l’inizio.Internet è una prateria sconfinata. Il web permette di cercare musica senza limiti, trovando anche dischi di cui non si conosceva nemmeno l’esistenza.Si imparano nuovi termini: download, upload, mp3, masterizzazione, file sharing.Nel 1999 due ragazzi americani diffondono un software che permette a persone lontane migliaia di chilometri di scambiarsi musica restando ciascuno a casa propria: nasce cosi Napster, capostipite della condivisione di files musicali.Si sublima il concetto che internet è quella cosa che avvicina chi è lontano e allontana chi è vicino. Anche il commercio (illegale) di cd masterizzati crolla: ormai ciascuno è autonomo nella ricerca della musica preferita ed è in grado di salvare nel proprio computer gli mp3, un formato compresso (di qualità accettabile ma inferiore all’originale, ovviamente) che consente di archiviare in poco spazio grandi quantità di musica. E la scelta non manca: Napster è un immenso catalogo di 25 milioni di files musicali.L’industria discografica accusa il colpo. Vendite a picco, chiusura di stabilimenti e di rivendite, licenziamenti di personale, forti ripercussioni sugli investimenti.Seguono furibonde battaglie legali contro la pirateria e nuove forme di protezione informatica dei cd per provare a impedire la clonazione della musica. Napster viene oscurato.Ma nell’era della tecnologia portata all’eccesso per ogni mossa esistono dieci contromisure, è come svuotare il mare con un bicchiere. Tanto vale provare a legalizzare il nemico. Prima con lo stesso Napster, più recentemente con iTunes e Spotify, è possibile scaricare legalmente (a costi irrisori, quindi invitanti) dalla Rete i brani desiderati.Il delirio tecnologico è un moloch che divora se stesso: i modelli di computer dopo un anno sono già vecchi, i lettori mp3 nascono e muoiono nello spazio di pochi anni, seppelliti da iPhone e smartphone, pronipoti onnivori dei telefoni cellulari.Quanto ha influito tutto ciò sul nostro modo di avvicinarci alla musica? Parecchio.Al netto delle inevitabili generalizzazioni – perché, ad esempio, è assai probabile che i più intransigenti cultori della musica classica non abbiano modificato di molto le loro abitudini – oggi spesso la musica si consuma, non si ascolta. Si mangia, non si gusta. In auto, per strada, al supermercato, in televisione. E’ un sottofondo (la “musica passiva” di cui parla Nicola Piovani nel libro La musica è pericolosa), una carta da parati, si dimentica in fretta, come impongono i riti frenetici di una società bulimica.Un tempo, togliere un 33 giri dalla copertina, sfilarlo dalla busta interna stando attenti a non imbrattare i solchi con le dita e, infine, metterlo sul piatto, era un autentico cerimoniale, con la sua solennità. L’impianto stereo (magari arricchito dall’equalizzatore) esaltava i suoni, riempiva la stanza, dava respiro alla musica, la faceva volare. C’era più cura nei particolari: si sceglieva la puntina del piatto, le casse più adatte, le cuffie più leggere e con la resa più dinamica.Tutto era più lento, più voluminoso, più raro, più unico e, per questo, più apprezzato, assaporato con la dovuta deferenza.Adesso abbiamo tanta scelta, tanto materiale musicale virtuale in spazi fisici ridottissimi. Forse siamo più liberi. Ma spesso non sappiamo che farcene.