Quando non riusciamo a finire un libro.

Creato il 29 febbraio 2016 da Luz1971
Non sempre quello che cominciamo a leggere ci coinvolge, piace, travolge al punto da voler arrivare fino alla fine. Mi è appena successo con Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Bello l'inizio, direi anzi un colpo di genio, belli alcuni incipit, diversi perché è come se il romanzo ricominciasse diverse volte. Bello in definitiva quell'insieme di passaggi che solo Calvino ha saputo ideare, con uno stile accattivante, leggero e ironico al punto giusto. Insomma, se apparentemente questo romanzo-non romanzo ha tutte le carte in regola per entrare nel novero dei libri che amo, mi sono arresa, arenandomi definitivamente circa a metà, incuneandomi sull'ennesimo nuovo inizio, confondemdomi e perdendomi dietro personaggi che non mi piacciono, che non suscitano in me alcuna curiosità.Ho cercato di tenere duro, fino ad appellarmi alla terza legge del decalogo di Pennac: Il diritto di non finire un libro. Sapete quando sorge quel pensiero che diventa certezza, quella forma vaga di consolazione nel pensare di chiuderlo e non riaprirlo più, se non "spizzicando" qua e là? Ecco, quello. La sensazione che mi coglie è in parte quella di una sconfitta, in parte la consapevolezza di possedere in quanto lettrice il diritto di non farmi piacere un libro che non mi piace, e il sollievo nel "perdonare" questa mia mancanza, alla quale sopperirò con nuove e spero entusiasmanti letture. Soffermiamoci per un attimo su questa défaillance che può capitare. Cosa non si verifica, cosa non scatta fra narrazione e lettore quando un libro non ci piace? Io adoro Calvino. Ho adorato Le città invisibili, la Trilogia degli antenati, cosa può essere successo questa volta? Questo romanzo, che Umberto Eco per altro decretò come il suo prediletto di tutto il Novecento italiano, mi piace nell'intenzione di base, quella di scardinare i piani narrativi consueti, presentando una sequenza atipica, un gioco a scatole cinesi nelle quali si confondono i protagonisti e la storia che vanno dipanando, ciò che mi è mancato è un affetto per il protagonista, la curiosità. La noia ha subissato ogni interesse e volontà. Mi è accaduto raramente, ricordo con il piccolo romanzo Abbaiare stanca, dello stesso Pennac, che abbandonai dopo una trentina di pagine, e con Va' dove ti porta il cuore della Tamaro, che immersi in un sonoro sbadiglio. Casi differenti di abbandono: nel primo mi piaceva lo stile ma non riusciva a catturarmi la storia, nel secondo la storia suscitava in me interesse ma non piaceva lo stile narrativo.A mio avviso, un buon libro riunisce entrambe queste qualità, stile e intreccio combinati in maniera accattivante e interessante. Questo fa di un buon romanzo qualcosa che non abbandono. 
Avete mai abbandonato? Cosa è scattato in voi se è accaduto?

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