Il tifo è la prosecuzione del calcio con altri mezzi. Tanto più estremo è il calcio, tanto più simile ai gironi infernali le categorie, tanto più viscerale si palesa l’attaccamento. E nasce la mentalità ultras. Nasce nelle strade, nei mercati notturni, nei centri sociali. Nasce nelle associazioni sportive, nasce nei rioni e nelle borgate. È una mentalità che invade, striscia, comunica. Che parla alla gente attraverso un lessico tutto sessantottino. Usa un linguaggio immediato e calzante, poetico ed ironico. La sua Commedia è lo striscione, la sua penna vergante la bomboletta spray, la sua musa cortese ed angelicata la maglia.
“Noi odiamo tutti. Il movimento ultras italiano attraverso gli striscioni politicamente scorretti” (editrice napoletana, La città del Sole) è il tentativo di studio più completo compiuto sul fenomeno negli ultimi anni. Merito di tre autori giovani ed appassionati, a loro volta immersi fino al collo (ed anche più su) nel modo ultrà nostrano: Vincenzo Abbatantuono, Domenico Mungo, Gabriele Viganò. Tre sguardi tutto sommato simili eppure prospettive diverse. Stesse convinzioni, stesse conclusioni, stesse idee espresse. Stesso posizionamento lì, nel cuore della passione semimilitarizzata della curva domenicale. E stesso identico rispetto ed apprezzamento per quella semantica da stadio che popola ed incide più di quella da cellulare.
Il loro lavoro certosino assomma le caratteristiche somatiche del saggio a quelle della militanza. Il testo è politico (nel senso più autentico del termine) fin quasi all’estremo confine, spinto al limitare della guerriglia. Mente e cuori fusi in un unico composto, storia ed attualità del movimento come sociologia impeccabile. E quel titolo, “Noi odiamo tutti”, che ancor prima di essere un’intestazione è una dichiarazione bellicosa ed identitaria. La carta d’identità di una massa di soggetti che rigetta le istanze normative repressive e si schiera soltanto con il suo amore spassionato ed incondizionato. Un libro di fuoco.
Le curve italiane sono la materia prima della redazione di “Noi odiamo tutti”. Quella curva intesa come regno di idee e valori diversi dalle idee e dai valori accademicamente riconosciuti. A tratti eccessivamente mitizzata, eccessivamente nobilitata. Mai purificata, mai verginizzata. La cura degli autori è quella di mantenere i suoi tratti distintivi ed autogeni; di preservarne le peculiarità di nicchia. In curva tutto è concesso perché in curva il sentire democratico viene escluso. “La curva non è democratica, è meritocratica”. È sentire comune espresso per mezzo di uno, due, tre, colori. Che sono quelli di una maglia. Che si evolvono in quelli di una fede. L’immagine trasmessa dal libro è dello stadio come luogo mistico ed insieme popolare, intriso di misticismo ed insieme di una volgarità gratuità che, tutto sommato fa parte del gioco. Perché ogni cosa, fosse anche la più estrema, fa parte del gioco.
Il corollario di striscioni altro non è che l’espressività di quel volto pulsante. Lo striscione è il nervo, il muscolo, la ruga che si stampa in faccia al settore degli ultrà. Un modo per calcare la mano sulle tragedie, ingigantire i vizi della fazione opposta ed i vezzi della propria. Nello striscione la verità non è elemento peculiare. Lo striscione è stato generato con il chiaro intento di esagerare, come la perfetta sincronia di una bomba rabbiosa e di tenerezza smodata. La redazione di uno striscione è un atto che accomuna, una realizzazione sociale, una promozione. “Questi ragazzi [quelli che scrivono gli striscioni, ndr] sono geniali – si legge nel testo – dotati spesso di una vis poetica fra il Catullo innamorato o il Pasquino irridente”.
Per spiegare non servono teorie, ma fatti. Ed ecco una lunga sfilza si scritte vergate ad ogni latitudine, in ogni stadio, per sostanziare l’affetto in qualsivoglia serie. Perché la maglia, si sa, è sempre la maglia. E per gli ultras, è l’unico, solo, vero, grande obbligo.
Giudizio: 3 / 5 – Incendiario