Quando una stella si avvicina a un buco nero

Creato il 22 ottobre 2015 da Media Inaf

Un gruppo di astronomi ha rivelato i segnali associati alla distruzione mareale di una stella da parte di un buco nero che si trova in una galassia a circa 290 milioni di anni luce. Si tratta dell’evento più vicino mai osservato negli ultimi dieci anni che fornisce preziosi indizi sulla formazione dei dischi di accrescimento e su come i buchi neri influenzano l’ambiente circostante. I risultati sono riportati su Nature.

L’immagine illustra l’evento di distruzione mareale ASASSN-14li in cui viene mostrata la formazione di un disco di accrescimento composto dal materiale stellare. Si nota poi una lunga coda mareale formata dai resti della materia espulsa che si estende a grandi distanze dal buco nero. Gli spettri X ottenuti da Chandra e da XMM-Newton mostrano entrambi chiare evidenze della presenza di abbassamenti del flusso X in un breve intervallo di lunghezze d’onda e rispetto a quanto ci si aspetta sono spostate verso la parte più blu, un fatto legato alla presenza di un vento che si genera a partire dalle regioni più interne verso lo spazio. Credit: NASA/CXC/M. Weiss

Quando una stella si avvicina troppo a un buco nero la sua intensa forza di gravità può letteralmente distruggere la stella. Durante questi eventi, chiamati “eventi di distruzione mareale” o TDE (Tidal Disruption Event), e di cui ne abbiamo già parlato in altro articolo (vedasi l’articolo Non attraversate la coda mareale), alcuni “pezzi” della stella possono diffondersi verso lo spazio esterno ad alta velocità mentre il resto precipita inesorabilmente verso il buco nero. Ciò produce un segnale caratteristico, cioè un brillamento X, che può durare anche per diversi anni.

«Questi risultati favoriscono le nostre idee più recenti che riguardano la struttura e l’evoluzione degli eventi di distruzione mareale», spiega Coleman Miller dell’University of Maryland (UMD), direttore del Joint Space-Science Institute e co-autore dello studio. «Nel futuro, tali eventi potranno essere considerati dei veri e propri banchi di prova per studiare gli effetti estremi della gravità».

Nel Novembre dello scorso anno, la survey All-Sky Automated Survey for Supernovae (ASAS-SN) scoprì inizialmente l’evento a cui è stata attribuita la sigla ASASSN-14li. La distruzione stellare è avvenuta in prossimità di un buco nero supermassiccio che risiede nel nucleo della galassia PGC 043234 situata a circa 290 milioni di anni luce. Osservazioni successive, realizzate con gli osservatori spaziali della NASA Chandra e Swift e il satellite dell’ESA XMM-Newton hanno fornito un quadro più chiaro che ha permesso agli astronomi di analizzare più in dettaglio l’emissione in banda X del processo di distruzione mareale.

«Nel corso degli ultimi anni, abbiamo osservato solo una manciata di distruzioni mareali», dice Jon Miller dell’University of Michigan e autore principale dello studio. «Ma questo è il caso migliore che ci è capitato finora e per il quale possiamo capire davvero cosa succede quando un buco nero fa a pezzi una stella».

Una volta che la stella viene distrutta per interazione mareale, l’immensa forza gravitazionale del buco nero cattura tutto ciò che rimane dell’oggetto. L’attrito riscalda il materiale che precipita verso il buco nero e ciò produce un’enorme quantità di radiazione X. Seguendo questa “ondata” di raggi X, la radiazione inizia successivamente a decrescere man mano che il materiale stellare supera l’orizzonte degli eventi, cioè quella sorta di punto di non ritorno al di là del quale nessuna informazione può sfuggire, nemmeno la luce.

Di solito, il gas precipita verso il buco nero seguendo una traiettoria a spirale da cui si forma una struttura a disco. Il processo che crea queste strutture, note come dischi di accrescimento, è rimasto un mistero. Ma nel caso di ASASSN-14li, i ricercatori hanno potuto seguire le fasi della formazione del disco di accrescimento analizzando la radiazione in banda X a diverse lunghezze d’onda e monitorando la sua variazione di luminosità nel corso del tempo.

Gli scienziati hanno poi trovato che la maggior parte dei raggi X sono prodotti sostanzialmente dal materiale che si trova in prossimità del buco nero: infatti, il materiale più luminoso dovrebbe seguire possibilmente la più piccola orbita stabile. Ad ogni modo, gli astronomi sono anche interessati a capire che cosa accade al gas che non supera l’orizzonte degli eventi e viene invece espulso dal buco nero.

«Una volta che il buco nero fa a pezzi la stella, comincia a catturare il suo materiale molto rapidamente, ma non si tratta della fine della storia», dice Jelle Kaastra dell’Institute for Space Research in the Netherlands e co-autore dello studio. «In realtà, il buco nero non riesce a mantere il passo e perciò espelle parte del materiale verso lo spazio esterno».

Inoltre, l’analisi dei dati X suggerisce la presenza di un “vento” che si propaga dal buco nero e che trasporta verso l’esterno una certa quantità di gas stellare. Tuttavia, questo vento non si propaga abbastanza velocemente da sfuggire alla morsa gravitazionale del buco nero. Secondo gli autori, una spiegazione possibile della sua velocità ridotta è che il gas di ciò che rimane della stella segue un’orbita ellittica attorno al buco nero perciò esso si propaga molto lentamente quando raggiunge la distanza maggiore dal buco nero, cioè nella parte più lontana dell’orbita.

«Questo risultato mette in evidenza l’importanza delle osservazioni a più lunghezze d’onda», spiega Suvi Gezari della UMD e co-autrice dello studio. «Anche se l’evento è stato scoperto da un telescopio per survey in banda ottica, le immediate osservazioni X sono state di fondamentale importanza per determinare la temperatura caratteristica e le dimensioni spaziali dell’emissione di radiazione e perciò per catturare i segnali associati alla presenza di un flusso uscente di radiazione».

Il passo successivo sarà ora quello di studiare altri eventi come ASASSN-14li in modo da poter verificare quei modelli teorici che tentano di descrivere come i buchi neri influenzano l’ambiente circostante e ricavare allo stesso tempo ulteriori indizi su come essi si comportano quando stelle o altri oggetti si avventurano nello loro vicinanze.


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Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica