«Il conformismo è il peggior nemico della creatività. Chiunque sia incapace di prendersi dei rischi non può essere creativo» Oliviero Toscani.
Oliviero Toscani, figlio del primo reporter del Corriere della Sera, è forse il più discusso fotografo italiano
I suoi lavori destinati al mondo della pubblicità, possono essere visti come uno spartiacque tra un modello commerciale di fotografia pubblicitaria tradizionale e quello moderno, in cui non è più l’oggetto commissionato a colpire l’attenzione dell’osservatore, ma il soggetto che riflette il pensiero dell’autore. Toscani, infatti, realizza immagini che, al di là di precisi obbiettivi di mercato, affrontano problematiche sociali mai toccate prima di allora dal mondo della pubblicità commerciale. I suoi scatti hanno fatto fronte ai temi del razzismo, dell’ecologia, del sesso, dell’Aids, ecc. Toscani perfeziona e usa deliberatamente un linguaggio scioccante e sconvolgente, spesso crudo e spietato, il più delle volte osteggiato e non compreso, tanto da venir criticato ripetutamente per i metodi pubblicitari di shock adevrsting e citato in giudizio più volte. Il fotografo milanese, insomma, ha fatto della provocazione un’arte, attraverso lo scandalo e il disorientamento generato dai suoi lavori. Egli ha voluto colpire con forza il castello di pregiudizi, d’ipocrisia, di perbenismo, malafede ideologica, convenzioni comportamentali e visuali dentro al quale è saldamente barricata gran parte dell’opinione pubblica sia italiana, sia mondiale. Che lo si accusi di ricadute d’immagine o di sfruttamento a scopi di notorietà dei sentimenti di sgomento o costernazione provocati nell’osservatore, poco importa. Infatti, Toscani si può amare o odiare, ma è indubbio che sia sempre capace di produrre discussione su temi talvolta scottanti e difficili. Questa è la sua forza, unita a un grande talento tutto da vedere e ammirare.
I primi reportage di Toscani mettono in luce le caratteristiche dei tempi che correvano e i ritratti delle nuove mode e dei nuovi comportamenti. I suoi primi scatti lo faranno conoscere agli addetti ai lavori, facendogli guadagnare contratti con le migliori riviste di moda. Soprattutto due scatti tra i suoi primi lavori hanno fatto scalpore: sono quelli conosciutissimi per i Jesus Jeans. La pubblicità, uscita in Italia negli anni ‘70, scandalizzò non solo Pier Paolo Pasolini, ma l’intero paese. Già il nome “Jesus Jeans” era per Toscani vincente: il giovane imprenditore Maurizio Vitale li produceva con i telai del Maglificio Calzificio di Torino e cercava un modo per sfondare nel mercato, ci ha pensato Toscani. Nella prima foto l’immagine raffigurante una ragazze a petto nudo e con i jeans sbottonati al limite dei peli pubici; nell’altra, ancor più celebre, le natiche della modella Donna Jordan, semicoperte da short decisamente succinti. Nel 2008 Oliviero Toscani ha deciso di riproporre questa seconda idea, lievemente modificata, per la campagna pubblicitaria del quotidiano l’Unità. In quest’ultimo caso il “lato B” è quello della figlia di Toscani.
È comunque dal 1986, quando inizia a curare le campagne pubblicitarie per il gruppo Benetton che inizia a essere conosciuto al pubblico mondiale. La sua macchina fotografica, infatti, caratterizzerà fino al 2000 il marchio, con campagne pubblicitarie molto personali e provocatorie, alcune delle quali sono state oggetto di censura, altre invece gli hanno permesso di ricevere alcuni tra i riconoscimenti più prestigiosi del settore, come il “Grand Prix dell’Unesco” e il “Grand Prix dell’Affichage”.
Le prime campagne Benetton puntano al sovvertimento degli stereotipi: le “coppie” ritratte da Toscani mettono in scena una nuova interpretazione della “differenza”. Il termine, infatti, acquista qui un significato polemico e oppositivo di grande impatto. Gli scatti mostrano diversi tipi di “opposizioni”: quella religiosa e politica tra il ragazzo palestinese e l’israeliano, quella religiosa e sessuale nel prete che abbraccia la suora, quella morale insita negli stereotipi del bene e del male simboleggiati dall’angioletto e dal diavoletto. Tutte queste opposizioni si fondano su proibizioni, su un’impossibilità di coesistenza, su una differenza che separa invece che unire. Toscani e Benetton quindi, prendendo atto di queste diversità e divieti, s’impegnano per far sì che la marca assuma un tono più impegnato, non si limiti a fornire una semplice rappresentazione “oggettiva” del mondo, ma si impegni ad assicurare la coabitazione di identità opposte, per abbattere le barriere e assicurare il dialogo tra i popoli. Benetton in pratica mette in piedi l’ambizioso progetto d’integrare gli opposti, appianare le differenze e combattere le diversità sotto un’unica bandiera, quella della marca.
In Italia ovviamente ha fatto scalpore, facendo gridare allo scandalo, il famoso scatto, orchestrato sul contrasto bianco-nero, del casto bacio tra un prete e una suora, vibrante di innegabile passione. Nell’interpretazione di Toscani però c’è un messaggio da cui non si può prescindere: i due, prima ancora che religiosi, sono un uomo e una donna ed è normale che tra loro “sbocci” l’amore, nonostante le privazioni della Chiesa. Si noti come anche quando sembra che nell’immagine non ci sia alcun riferimento al prodotto, come in questo caso, esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con lo slogan, secondo il quale la gioia del colore abbatte ogni barriera, da quella della pelle a quella di una divisa.
Nel 1989 escono due immagini della campagna basata sull’uguaglianza tra bianchi e neri. Esse provocarono una forte reazione internazionale, soprattutto nella comunità nera degli Stati Uniti: si tratta di una donna nera che teneramente allatta un bimbo bianco, tra l’altro l’immagine più premiata nella storia della pubblicità Benetton, e di due uomini, uno nero e uno bianco, ammanettati insieme.
Anche le campagne del 1990 sono composte da immagini sempre più simboliche per sottolineare il concetto di uguaglianza nella diversità. Le immagini, che raccolsero premi in Austria, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, si riferiscono sempre al tema del razzismo. Tutte molto espressive furono ben accolte dalla critica e dal grande pubblico.
Le campagne dal 1991 in poi, invece, toccano i vertici della polemica in tutto il mondo. I temi sono di carattere sociale e universale e lo scopo di Toscani è di catturare l’interesse e l’attenzione della gente impedendo l’indifferenza. Sono le
Dal 1991 inizia anche il “ciclo della realtà”, con immagini che creano scandalo in Italia e nel mondo. Ad esempio la campagna creata in occasione della Guerra del Golfo, in cui viene utilizzata la foto di un cimitero di guerra in Francia. In Italia viene pubblicata solo su un giornale, Il Sole 24 Ore, poiché tutti gli altri la rifiutarono. Lo scatto annuncia una frattura con le immagini precedenti. Le lunghe file di croci simmetricamente allineate ricordano che in guerra nessuno vince, al di là delle divise, delle razze e delle religioni. Il tema del conflitto, in cui solo la morte è l’unico risultato finale, fa si che lo stile diventi “realistico”. Infatti, Toscani introduce una nuova profondità di campo, quasi un pezzo di “vita vera” che, a suo dire, irrompe nell’universo edulcorato e falso della pubblicità.
Nel 1992, invece, le campagne di United Colors of Benetton sono all’insegna della drammaticità reale, segnando un nuovo balzo in avanti della comunicazione. Le immagini proposte, infatti, sono vere, realizzate da vari fotoreporter, e sono state già pubblicate su diversi quotidiani e riviste. I soggetti, secondo la filosofia dell’informazione e dell’impegno intrapreso da Benetton, affrontano temi di carattere sociale: la malattia oscura e insidiosa, la violenza e l’intimidazione, la mafia, l’immigrazione forzata, le catastrofi naturali. Le foto, tipicamente giornalistiche, riproducono il mondo “reale” e introducono una nuova interessante domanda sul destino della pubblicità: si può usare il messaggio pubblicitario, l’enorme potenza dei budget impiegati in pubblicità, per instaurare con i consumatori un dialogo diverso dall’informazione sui prodotti? E inoltre, chi ha stabilito che la pubblicità debba necessariamente rappresentare un mondo senza conflitti e senza dolore?
È cosi che nasce la prima campagna, conosciutissima e drammaticamente reale, sul tema della sofferenza, che raffigura David Kirby, un malato morente di Aids, ritratto nella sua stanza dell’Ohio State University Hospital, nel Maggio del 1990, circondato dai familiari. Lo scatto mostra il lato terribile della malattia esibendo un corpo devastato dal virus dell’HIV. Nonostante le critiche, Toscani qui ha voluto, con un tono decisamente scioccante, denunciare i pericoli dell’AIDS e far si che, anche dopo la morte, la lotta contro la terribile malattia continui. Su quest’immagine il mondo si divideva tra accuse di cinismo e approvazione ma, mentre molte riviste avevano già rifiutato la pubblicazione, la madre di David disse che la famiglia non aveva nessuna percezione di essere stata usata, ma al contrario, di usare la Benetton: “David infatti parla a voce molto più alta ora che è morto che non quando era vivo”.
Molto bella è anche l’immagine realizzata in occasione delle Olimpiadi di Barcellona del 1992 legata alla lotta contro l’Aids. Del 1992 sono anche le immagini della sedia elettrica, una chiarissima denuncia alla pena di morte, tema sempre caro a Toscani e all’inquinamento ambientale, piaga sentita e verso cui non si fa niente o quasi.
Nel 1993 l’AIDS è di nuovo il protagonista della comunicazione United Colors of Benetton con tre scatti di Toscani. Un sedere, un pube e un braccio marchiati con la scritta “HIV Positive” come metafora di una marchiatura ben più estesa: la bollatura sociale dei diversi, dei malati, dei sofferenti.
Un anno dopo Toscani ripropone il tema con un’immagine che presenta oltre 1000 foto-ritratti di giovani di tutto il mondo che elaborati al computer formano la parola AIDS. I volti sono sorridenti, ma su ognuno incombe l’incognita della malattia: simbolo del male del ventesimo secolo che “c’è ma non si vede”.Del ‘94 è lo scatto che immortala i pantaloni e la maglietta insanguinati appartenenti al soldato Marinko Gagro, ucciso durante il conflitto nell’ex-Yugoslavia. Toscani, con una grande tecnica descrittiva, rende in questo modo, due indumenti quotidiani un simbolo di pace riconosciuto a livello internazionale.
Un’altra campagna molto espressiva è quella del 1996. Toscani, infatti, dal 16 al 22 settembre, realizza 50 ritratti di giovani siciliani nati dopo il 1968, immortalati per le calde vie e le piazze di Corleone. Gli sconosciuti abitanti del
Successivamente Benetton si allea con associazioni no-profit, come Caritas e Croce Rossa, istituzioni e grandi organismi internazionali, dimostrando che un uso “differente” della pubblicità è possibile. Ad esempio, in collaborazione con la FAO (Food and Agricolutre Organization of the United Nations), realizza l’immagine ufficiale del vertice mondiale sull’alimentazione del 1996.
Nel 1998 l’azienda italiana celebra con l’ONU il 50° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e presenta a Roma, presso la sede delle Nazioni Unite in Piazza San Marco e in contemporanea a New York, la nuova campagna internazionale di comunicazione sempre ad
L’’ultima campagna di Oliviero Toscani per Benetton, invece, riguarda la pena di morte e ha avuto un impatto mediatico sensazionale in tutto il mondo. Con “We On Death Row” (Noi nel braccio della morte), Benetton mostra per la prima
La campagna, apparsa in affissione e sulle pagine delle più importanti testate giornalistiche in Europa, America e Asia, dal gennaio 2000, pone Benetton, ancora una volta, nella condizione di guardare in faccia la realtà e di affrontare una tematica sociale forte. Proprio come nelle sue precedenti campagne, tra contrasti accesi e riconoscimenti internazionali, Toscani e Benetton hanno saputo superare il muro dell’indifferenza, contribuendo a sensibilizzare i cittadini del mondo su problemi universali e, nel frattempo,
Riguardo a questa campagna però le cose non andarono bene: Toscani infatti venne accusato dallo Stato del Missouri di falso fraudolento per aver ritratto con l’inganno dei condannati a morte. Secondo l’accusa, chiedendo il permesso di scattare le foto dei candidati alla sedia elettrica, l’artista non avrebbe specificato ai responsabili lo scopo per cui voleva ritrarre i condannati, cioè quello di realizzare una campagna pubblicitaria. Le critiche al fotografo e all’azienda furono molte, tanto che una grossa catena di grandi magazzini degli Stati Uniti boicottò i capi
Alice Secchi