Ora bisogna sapere che con l’orchesca persona di mio padre io intrattenevo un insoluto rapporto materiato di paralizzanti terrori e di paralitici grumi di immenso affetto inespresso, di antagonismo feroce e pertanto di abominoso commercio con la colpa; e che pensare a lui significava provare un disperato bisogno di chiarimento e sprofondare ancor più nell’oscura fossa delle cose ambigue: significava abbandonarsi per pochi istanti al sogno di un’eloquenza che avrebbe finalmente compensato anni di penosa reticenza, e nuovamente sapersi condannato al silenzio.
[Stefano Mari, Tu, sanguinosa infanzia, cit., pp. 78-79]