Quante divisioni ha Matteo Renzi?

Creato il 27 ottobre 2013 da Tafanus


Gli ex bersaniani saliti sul carro. I tentati dal sindaco. I gattopardi del Sud. Ecco come cambia la mappa del potere dopo Renzi (di Marco Damilano - l'Espresso)

Nella prima edizione alla stazione di Firenze Leopolda, nel 2010, c'erano una consolle sul palco, le playlist, Willy il Coyote, Pippo Civati che oggi è un avversario.

Nel 2011, l'economista Luigi Zingales e lo scrittore Edoardo Nesi (oggi deputato di Scelta Civica), l'ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori e la star Alessandro Baricco.

Nel 2012 Oscar Farinetti, il regista Fausto Brizzi, il finanziere Davide Serra. Al centro, sempre, i due veri protagonisti: il padrone di casa, il sindaco Matteo Renzi, in maniche di camicia, su e giù per un palco che sembrava la cucina di casa, con il frigo e il cestino della frutta e come colonna sonora l'orrido Tacatà ( "La gente bailando y tu bla bla bla/mueve tu culito, tambien el bechito..."). E una folla di sconosciuti: giovani, piccoli amministratori, ricercatori, titolari di start-up, absolute beginners della politica come Marco Pierini, classe 1996, liceale di Montespertoli. La carica dei rottamatori, ingenui e radicali come tutti gli esploratori di novità, il fascino di questo appuntamento, «perché la storia la fanno i pionieri, non i reduci».

Nel 2013, quarta edizione, forse l'ultima, i reduci sono la novità. I nuovi sono i vecchi. Gli ultimi arrivati sono le facce di sempre del Pd che per la prima volta affollano le immense gallerie dell'antica stazione fiorentina. In tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, i renziani della prima ora convivono con i sostenitori saliti sul carro del probabile futuro leader. Con risultati a macchia di leopardo: la Toscana è da tempo la regione più renziana di Italia, dopo la conquista del comune di Siena e i recenti passaggi di campo dei sindaci di Livorno e di Arezzo. Nell'ex Emilia rossa il monolite della Ditta non c'è più, hanno mollato Pier Luigi Bersani l'ex fedelissimo segretario regionale Stefano Bonaccini e il sindaco di Bologna Virginio Merola, in più c'è il ministro Dario Franceschini, un tempo definito da Renzi «il vice-disastro». Nel Nord Ovest Renzi fa il pieno degli amministratori, i nomi storici dell'ex Pci, dal sindaco di Torino Piero Fassino al presidente della Liguria Claudio Burlando, in gran considerazione tra i renziani è la sottosegretaria genovese alla Difesa Roberta Pinotti, in Lombardia è in avvicinamento il sottosegretario Maurizio Martina che a soli 31 anni è già stato fassiniano, veltroniano, bersaniano e perfino penatiano.

Nelle regioni del Sud, dove un anno fa, alle primarie per la premiership, Bersani stracciò il giovane rivale fiorentino con percentuali bulgare, e dove è ancora in vigore il principio cinquecentesco del cuius regio eius religio (per convertire il popolo basta convertire il principe) si segnalano i primi passaggi di campo, non ancora massicci. Qualche giovane deputato in Campania (Pina Picierno, Enzo Cuomo, Giovanna Palma, Salvatore Piccolo), qualche antico arnese della Prima Repubblica in Calabria (l'ex socialista Sandro Principe, sottosegretario al Lavoro con Giuliano Amato nel 1992, quando Renzi andava ancora a scuola), i dalemiani e i lettiani in Puglia (Nicola Latorre e Francesco Boccia), la ricomposizione dei gattopardi in Sicilia...

Cambiare verso, come recita lo slogan renziano, in molte zone d'Italia, significa semplicemente cambiare insegna, voltar gabbana, cambiare verso perché nulla cambi. Il più consapevole del rischio, dagli sconosciuti delle edizioni precedenti alla carica dei soliti noti, è proprio Renzi. «Non possiamo permetterci un segretario che sia semplicemente punto di equilibrio tra gruppi diversi», afferma nella sua mozione congressuale. «Ogni squadra ha un capitano. E se gioca bene il capitano, gioca meglio la squadra». Ma ora il Capitano è chiamato a mettere in campo un nuovo schema di gioco. E, possibilmente, nuovi giocatori.



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