Le perplessità sono più di una. La prima è la mediazione voluta ed imposta dalla Germania. Il debito pubblico acquistato è garantito nella sola misura del 20% dalla BCE, il restante dalle singole Banche Nazionali. Di fatto i Paesi che possono beneficiare in modo consistente del QE sono la Germania e tutti quei Paesi con debito pubblico contenuto. Renzi e Padoan farebbero bene ad esaltarsi di meno. La mia sensazione è che per sostenere la crescita potremmo ricavare molto di più da una seria azione di contenimento dell’evasione e dell’elusione fiscale, così come hanno evidenziato Ignazio Visco e la stessa Corte dei Conti in più di un’occasione. A parte questi aspetti ciò che non mi convince è la procedura attraverso la quale questi 60 miliardi verranno messi in circolazione. Ricordo a me stesso che già in un’altra occasione Draghi ha utilizzato il bazooka. Circa tre anni fa la BCE immise nel mercato 1000 miliardi di euro a tasso irrisorio, in sostanza girò 1000 miliardi di euro al sistema bancario, perché servissero a finanziare imprese a famiglie. Non mi risulta che ci sia stato un qualche effetto positivo per l’economia reale. Qualcuno eccepirà dicendo che il QE è un’altra storia. A me non sembra. La BCE non acquista direttamente il debito pubblico dagli Stati, cioè non partecipa alle aste con le quali i singoli Stati piazzano il proprio debito pubblico. La BCE acquista i titoli del debito pubblico dal c.d. mercato secondario, ossia da banche private, società finanziarie, assicurazioni, società di gestione di fondi, ecc. In sostanza il denaro del QE viene girato al sistema bancario e finanziario. A questo punto quali dovrebbero essere gli effetti sull’economia reale del QE nelle intenzioni di Draghi? L’idea è che la massa monetaria messa in circolazione dovrebbe contribuire ad abbassare il costo del denaro, favorire la svalutazione dell’euro, in sostanza creare le condizioni per imprese e famiglie di accedere più facilmente al credito e contestualmente di favorire l’esportazione. Se questi sono gli obiettivi non mi sembra di vedere automatismi tali per cui una maggiore disponibilità di denaro si traduce in maggiori investimenti e consumi. Devo pensare che a più di qualcuno sfugga un passaggio che non è di poco conto. Il costo del denaro può essere anche zero, cioè prestato a titolo gratuito, resta l’obbligo a carico di chi sottoscrive un contratto per un prestito bancario di fornire una serie di garanzie circa la solvibilità del debito contratto. Adesso provate ad immaginare il lavoratore precario che si presenta in banca per contrarre un prestito per l’acquisto di una casa, di un auto, ecc. Come è noto a tutte le persone comuni, tranne ai banchieri, la prima cosa che viene chiesta sono il tipo di contratto di lavoro, le buste paga degli ultimi tre, quattro mesi, l’esposizione debitoria ed altro ancora. Il problema alla fine non è solo il costo del denaro ma la crisi nella quale versa una larga parte delle famiglie italiane aggravata dal dato psicologico che certamente il QE non aiuta. Per le imprese ai problemi segnalati per le famiglie se ne aggiungono altri propri propri del settore. Immaginate per un momento tutto quel mondo di imprese che prestano la loro opera per la pubblica amministrazione. Come è noto i pagamenti delle imprese da parte della P.A. è vincolato dal c.d. patto di stabilità. Indipendentemente dai proclami di Renzi il meccanismo attivato dalle P.A. per pagare le imprese è quello della cessione del credito a un Istituto Bancario, il quale istituto lo rileva dietro il pagamento di un interesse da parte dell’impresa. Molte delle imprese che hanno come clienti prevalentemente Enti Pubblici sono nelle condizioni di non poter più chiedere altro credito e questo indipendentemente dal costo del denaro. Non sono in grado di accedere ad altro credito perché non sono più in grado di fornire garanzie sufficienti circa la solvibilità del debito contratto. Altro effetto che Draghi si propone è quella di favorire l’esportazione attraverso la svalutazione dell’euro. La domanda che pongo è: di quanto deve essere svalutato l’euro perché, ai fini della concorrenza non venga ancora svalutato il lavoro? Cioè le politiche monetarie e finanziarie non si traducano nella imposizione di una ulteriore moderazione salariale accompagnata da una riduzione dei diritti dei lavoratori? In un mercato globale dove una parte del sistema produttivo ha la pretesa di mettersi in concorrenza con realtà dove il lavoro viene pagato in modo irrisorio non c’è svalutazione dell’euro che tenga. L’unica soluzione è mettere in campo politiche industriali legate all’innovazione, alla ricerca e alla qualità del prodotto. Non è un caso che la Merkel, dopo aver colto con l’introduzione del QE una serie di obiettivi funzionali al proprio sistema economico e finanziario, continui a dire a paesi come l’Italia di continuare a fare “ i compiti a casa”. Ossia riforme strutturali da declinare nel senso di privatizzazioni e di riduzione della spesa pubblica per welfare. In altri termini interventi strutturali significano semplicemente riduzione del potere di acquisto di famiglie e imprese. In conclusione mi sembra di assistere alla solita manovra di politica monetaria che agisce dal lato dell’offerta e non della domanda. Se non si capisce che per intervenire dal lato della domanda bisogna operare con politiche redistributive dirette a imprese e famiglie gli effetti del bazooka, come è successo in passato, servirà solo ad alimentare la speculazione finanziaria e il debito delle banche che continuerà a diventare debito pubblico.
Le perplessità sono più di una. La prima è la mediazione voluta ed imposta dalla Germania. Il debito pubblico acquistato è garantito nella sola misura del 20% dalla BCE, il restante dalle singole Banche Nazionali. Di fatto i Paesi che possono beneficiare in modo consistente del QE sono la Germania e tutti quei Paesi con debito pubblico contenuto. Renzi e Padoan farebbero bene ad esaltarsi di meno. La mia sensazione è che per sostenere la crescita potremmo ricavare molto di più da una seria azione di contenimento dell’evasione e dell’elusione fiscale, così come hanno evidenziato Ignazio Visco e la stessa Corte dei Conti in più di un’occasione. A parte questi aspetti ciò che non mi convince è la procedura attraverso la quale questi 60 miliardi verranno messi in circolazione. Ricordo a me stesso che già in un’altra occasione Draghi ha utilizzato il bazooka. Circa tre anni fa la BCE immise nel mercato 1000 miliardi di euro a tasso irrisorio, in sostanza girò 1000 miliardi di euro al sistema bancario, perché servissero a finanziare imprese a famiglie. Non mi risulta che ci sia stato un qualche effetto positivo per l’economia reale. Qualcuno eccepirà dicendo che il QE è un’altra storia. A me non sembra. La BCE non acquista direttamente il debito pubblico dagli Stati, cioè non partecipa alle aste con le quali i singoli Stati piazzano il proprio debito pubblico. La BCE acquista i titoli del debito pubblico dal c.d. mercato secondario, ossia da banche private, società finanziarie, assicurazioni, società di gestione di fondi, ecc. In sostanza il denaro del QE viene girato al sistema bancario e finanziario. A questo punto quali dovrebbero essere gli effetti sull’economia reale del QE nelle intenzioni di Draghi? L’idea è che la massa monetaria messa in circolazione dovrebbe contribuire ad abbassare il costo del denaro, favorire la svalutazione dell’euro, in sostanza creare le condizioni per imprese e famiglie di accedere più facilmente al credito e contestualmente di favorire l’esportazione. Se questi sono gli obiettivi non mi sembra di vedere automatismi tali per cui una maggiore disponibilità di denaro si traduce in maggiori investimenti e consumi. Devo pensare che a più di qualcuno sfugga un passaggio che non è di poco conto. Il costo del denaro può essere anche zero, cioè prestato a titolo gratuito, resta l’obbligo a carico di chi sottoscrive un contratto per un prestito bancario di fornire una serie di garanzie circa la solvibilità del debito contratto. Adesso provate ad immaginare il lavoratore precario che si presenta in banca per contrarre un prestito per l’acquisto di una casa, di un auto, ecc. Come è noto a tutte le persone comuni, tranne ai banchieri, la prima cosa che viene chiesta sono il tipo di contratto di lavoro, le buste paga degli ultimi tre, quattro mesi, l’esposizione debitoria ed altro ancora. Il problema alla fine non è solo il costo del denaro ma la crisi nella quale versa una larga parte delle famiglie italiane aggravata dal dato psicologico che certamente il QE non aiuta. Per le imprese ai problemi segnalati per le famiglie se ne aggiungono altri propri propri del settore. Immaginate per un momento tutto quel mondo di imprese che prestano la loro opera per la pubblica amministrazione. Come è noto i pagamenti delle imprese da parte della P.A. è vincolato dal c.d. patto di stabilità. Indipendentemente dai proclami di Renzi il meccanismo attivato dalle P.A. per pagare le imprese è quello della cessione del credito a un Istituto Bancario, il quale istituto lo rileva dietro il pagamento di un interesse da parte dell’impresa. Molte delle imprese che hanno come clienti prevalentemente Enti Pubblici sono nelle condizioni di non poter più chiedere altro credito e questo indipendentemente dal costo del denaro. Non sono in grado di accedere ad altro credito perché non sono più in grado di fornire garanzie sufficienti circa la solvibilità del debito contratto. Altro effetto che Draghi si propone è quella di favorire l’esportazione attraverso la svalutazione dell’euro. La domanda che pongo è: di quanto deve essere svalutato l’euro perché, ai fini della concorrenza non venga ancora svalutato il lavoro? Cioè le politiche monetarie e finanziarie non si traducano nella imposizione di una ulteriore moderazione salariale accompagnata da una riduzione dei diritti dei lavoratori? In un mercato globale dove una parte del sistema produttivo ha la pretesa di mettersi in concorrenza con realtà dove il lavoro viene pagato in modo irrisorio non c’è svalutazione dell’euro che tenga. L’unica soluzione è mettere in campo politiche industriali legate all’innovazione, alla ricerca e alla qualità del prodotto. Non è un caso che la Merkel, dopo aver colto con l’introduzione del QE una serie di obiettivi funzionali al proprio sistema economico e finanziario, continui a dire a paesi come l’Italia di continuare a fare “ i compiti a casa”. Ossia riforme strutturali da declinare nel senso di privatizzazioni e di riduzione della spesa pubblica per welfare. In altri termini interventi strutturali significano semplicemente riduzione del potere di acquisto di famiglie e imprese. In conclusione mi sembra di assistere alla solita manovra di politica monetaria che agisce dal lato dell’offerta e non della domanda. Se non si capisce che per intervenire dal lato della domanda bisogna operare con politiche redistributive dirette a imprese e famiglie gli effetti del bazooka, come è successo in passato, servirà solo ad alimentare la speculazione finanziaria e il debito delle banche che continuerà a diventare debito pubblico.