Quantitative Easing: una ricetta per uscire dalla crisi?

Creato il 17 novembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Un’inattesa “guerra delle valute” rivela una geografia economica ancorata ad una crisi globale, fronteggiata dai leader mondiali attraverso ricette di austerità già adottate quattro anni fa, all’inizio della bolla speculativa. Si tratta di ricette molto discusse e non sempre condivise, quale la manovra del “quantitative easing” – in italiano “alleggerimento quantitativo”. Tuttavia, i paesi emergenti si sono opposti a tale politica additandola, in alcuni casi, come una manovra “egoista”, che riduce favorevolmente il valore del dollaro a discapito delle valute dei mercati emergenti, colpendone così le esportazioni.

 
Quattro anni fa la Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense, ha introdotto una politica monetaria volta a stimolare l’economia nordamericana e risollevare il paese dal rischio di una seconda recessione (double dip). Con “alleggerimento quantitativo” si intende, quindi, il processo di stampare moneta da parte della Federal Reserve, inondando il sistema economico-finanziario di “denaro facile”, per fornire liquidità al mercato, aumentare i prestiti bancari e incoraggiare i consumi. Inoltre, attraverso questo meccanismo, molti colossi bancari nordamericani sono stati salvati dal tracollo finanziario. La manovra del quantitative easing (QE) non è utilizzata soltanto dalla Fed ma, con modalità simili, anche dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca del Giappone e dalla Banca d’Inghilterra. Dall’inizio della crisi alcuni leader mondiali hanno cercato di attuare politiche monetarie in grado di stimolare le rispettive economie. Gli Stati Uniti, tuttavia, si distinguono per il cospicuo ammontare dei vari QE. L’ultimo stimolo sostanzioso all’economia nordamericana risale al periodo del New Deal1.

Fino all’autunno del 2008, la politica monetaria della Fed era focalizzata sulla determinazione di un tasso praticato alle banche che avevano necessità di ottenere prestiti overnight2. Questo prestito si materializzava sotto forma di depositi della Fed presso la banca richiedente. In tempi normali, questo tasso risultava sensibile alla quantità di depositi, permettendo alla Fed di raggiungere i suoi obiettivi, variando la quantità di riserve offerte. Tuttavia, alla fine del 2008, la banca centrale nordamericana ha portato il tasso sui fondi federali a livelli prossimi allo zero, fornendo un’enorme liquidità al sistema bancario. Questo ha permesso alle banche di iniziare a detenere grosse quantità di riserve, e il tasso overnight ha raggiunto un livello molto basso. Inoltre, a causa dell’ingente ammontare di liquidità resa disponibile, lo strumento adottato fino a quel momento diventa oggi inutilizzabile.

Questo trascorso ha spinto la Fed ad introdurre uno strumento non convenzionale. Il 18 marzo del 2009 la banca centrale americana ha annunciato il primo importante intervento monetario. La manovra del QE1 prevedeva l’immissione di liquidità attraverso l’acquisto complessivo di assets per circa 1.700 miliardi di dollari. Il duplice obiettivo era: diminuire i tassi d’interesse e ridurre i principali spread. Dopo circa un anno e mezzo, nell’agosto del 2010, la Fed comunicò l’intenzione di acquistare altri 600 miliardi di dollari di titoli di Stato a lungo termine entro giugno 2011, mediante interventi su base mensile di entità pari a 75 miliardi di dollari. Secondo Ben Bernanke questi 600 miliardi avrebbero diminuito i tassi sui prestiti di lungo termine relativi a beni durevoli quali auto e case. Questa ulteriore manovra, QE2, si è resa necessaria a causa dell’aumento vertiginoso della disoccupazione e dei timori di deflazione. L’obiettivo, in questo caso, era quello di ridurre i tassi reali a lungo termine, per favorire una ripresa più robusta e una conseguente espansione economica. Come mostra l’indice dei prezzi al consumo, i risultati di queste due manovre non hanno generato la crescita economica attesa, segnata invece da intervalli irregolari e una ripresa faticosamente lenta e insufficiente per far ripartire l’economia statunitense. Inoltre, trattandosi delle prime manovre effettuate dalla banca di Washington – in anni recenti – non esiste una controprova con un ipotetico piano B.

Ciononostante, dopo il deludente mese di maggio 2011, conclusosi con un bilancio magro per le principali Borse mondiali, anche giugno non è partito secondo le attese. I deboli riscontri dal mercato del lavoro statunitense hanno gettato nuovi dubbi sulle prospettive di un rialzo dei tassi e sulla possibilità di un QE3. La disoccupazione, nel maggio 2011, all’inizio del QE2, ha toccato quota 9,1%, registrando il più basso ritmo di creazione di posti di lavoro da settembre 2010. Esattamente un anno dopo, nel maggio 2012, la disoccupazione si è attestata a quota 8,2%, in salita rispetto ai due mesi precedenti. I dati riconfermano la difficoltà della ripresa economica del Paese, nonostante le manovre attuate. La Fed ha voluto comunque replicare con una terza iniezione di liquidità nel sistema, e questa volta attraverso un meccanismo “open-ended”, ovvero senza alcun limite di importo e scadenze. La Fed può quindi acquistare un ammontare illimitato di mutui, buoni del tesoro e altri titoli finanziari. A settembre 2012 è stato avviato il QE3, una terza ondata di nuova moneta, che prevede l’acquisto di 40 miliardi di dollari al mese da parte della Fed e il mantenimento di tassi d’interesse a zero fino al 2015.

Durante l’incontro alla Commissione della Federal Reserve, e in vista delle allora imminenti elezioni presidenziali, il Presidente Bernanke ha spiegato questo nuovo stimolo come fondamentale per generare occupazione e aiutare l’economia globale. Immediate le reazioni di alcuni paesi emergenti. Per placare gli animi dei BRICS – in questo terzo round - la Fed ha cercato di allineare il più possibile i tassi di interesse a quelli cinesi, al fine di evitare una “guerra delle valute” con il secondo leader economico mondiale e i membri del gruppo degli emergenti, generando piuttosto un boom delle esportazioni asiatiche. Tuttavia, il rischio che questa operazione monetaria possa condurre alla nascita di ulteriori bolle finanziarie e squilibri nei mercati emergenti permane un’ipotesi non molto remota. Inoltre, una diversa struttura economico-finanziaria dei vari paesi emergenti, può generare effetti collaterali ben diversi tra i BRICS. Quello del Brasile è il caso più discusso, un Paese in cui le continue fluttuazioni monetarie – tra il 2008 e il 2011 – sono più che evidenti. Perciò, occorrerebbe monitorare più attentamente anche gli altri membri del gruppo.

Nel momento in cui la banca centrale nordamericana, la Banca del Giappone, la Banca d’Inghilterra e la Banca Centrale Europea decidono di stampare nuova moneta, le monete di questi paesi subiscono un deprezzamento favorevole, mentre le monete dei paesi che non hanno adottato tale politica subiranno un aumento di valore. Dal punto di vista economico, quindi, le merci statunitensi, giapponesi, europee e inglesi saranno più competitive sui mercati esteri rispetto a quelle degli altri paesi che, diversamente, diventeranno più costose. Accanto a tale rischio, un ulteriore effetto generato dal processo di alleggerimento quantitativo è legato a un possibile aumento dell’inflazione sia nei paesi avanzati sia nei mercati emergenti, i quali sarebbero severamente colpiti da un conseguente aumento del prezzo di generi di prima necessità. Tra i due effetti, l’inflazione risulta quello più facilmente controllabile, in quanto la Fed può sempre decidere di comprare o vendere titoli finanziari per fronteggiare tale rischio.

Tuttavia, se aumentare i prestiti bancari e il credito – sommergendo il sistema di denaro – significa anche ritornare ad un modello economico malato, in cui gli istituti di credito e di investimento hanno spesso effettuato decisioni carenti, l’economia non sarà mai in grado di ripartire a pieno ritmo senza aver bisogno di trasfusioni periodiche, per riassorbire continui shock finanziari. Quello del QE è quindi uno strumento politico-finanziario tampone, in grado di curare i sintomi di una malattia ben più grave. Inoltre, le decisioni dei grandi tendono, spesso, ad influire sulla restante geografia emergente, un’area strategica per il futuro dell’economia mondiale e pronta ad affrontare le sfide economiche e sociali, dando voce alla loro ormai chiara voglia di crescita e indipendenza. Di fronte ad un mercato sempre più globale, l’interdipendenza economica tra le diverse economie mondiali spiega la ragione per cui il quantitative easing è diventato la causa e l’effetto di ulteriori manovre di alleggerimento quantitativo. Ciononostante, mercato e politiche economiche non hanno ancora avviato un percorso d’integrazione rigoroso e sostenibile.


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