Fino a qualche settimana fa il “nuovo” era rappresentato dal settantenne Carlo Tavecchio, nel giro del mondo del calcio dal 1975 con ruoli dirigenziali in Federcalcio dal 1987 fino ad oggi, in considerazione del suo carattere fermo e deciso e soprattutto della sua esperienza nelle serie minori dilettantistiche, che hanno rappresentato negli ultimi anni un bacino di sperimentazione ed innovazione (dai campi sintetici alle sponsorizzazioni, fino alla rivalutazione dei vivai per calciatori e allenatori).
Il “vecchio”, invece, era raffigurato dal quarantatreenne Demetrio Albertini, giocatore di calcio fino al 2005 e dirigente in Federazione nel post-Calciopoli come vice-presidente, incapace di dare un cambio di rotta alla fallimentare gestione Abete, rinviando lo snellimento della struttura dirigenziale e fallendo con la ripianificazione del progetto “Nazionale” con gli insuccessi acclarati delle squadre maggiori e minori nelle competizioni internazionali, senza dimenticare l'irrisolta questione “sicurezza negli stadi” e gli altri aspetti sociali connessi.
Non è fondamentale conoscere il nome del vincitore per sapere cosa diranno i tifosi dopo i primi insulti razzisti provenienti dalle curve a loro discolpa: “se lo fa il Presidente della Federazione perché non possiamo farlo noi”!
Come dice il “nuovo vecchio”, è stata solo una battuta “infelice” e poco importa se le revisioni su tutti i campi sintetici in Lega Dilettanti siano stati eseguiti da un’azienda “amica” di Tavecchio o se le cinque condanne per falsi titoli di credito, evasione fiscale e abuso d’ufficio siano una dimostrazione di scarsa “sobrietà”, perché il calcio in Italia non riuscirà a cambiarlo neppure un ex-calciatore ambizioso incapace di trovare il sostegno dei suoi ex-amici dirigenti.
Il calcio è un business troppo grande per pensare di poterlo riformare con una semplice elezione, anche perchè nel migliore dei casi le urne riusciranno a far nascere solo una controversa “Repubblica delle Banane”.