C’è assai di peggio dentro la sedicente scienza economica dell’ultimo quindicennio che si dibatte fra gli algoritmi come un tonno preso nella rete. Il ricercatore Franco Sabatini riferisce dell’ accurato studio di un finlandese, tale Tatu Westling, che mette il relazione il pil con la dimensione del pene in erezione. Udite udite, i paesi in cui il pene medio è al di sotto dei12 centimetri (gulp) sono generalmente sottosviluppati. Peni medi sono correlati a Pil più alti, fino a una lunghezza massima di 16 centimetri, oltre la quale il Pil collassa. Così apprendiamo che i giapponesi l’hanno più lungo dei nord coreani, ma molto più corto degli ugandesi e rimane da indagare il mistero del nord africa. Per il vostro divertimento vi allego lo studio Penis Paper. Ma la cosa importante non è che un compatriota di Olli Rehn faccia un dottorato invece di andare dal terapeuta o magari in una sauna che gli svelerebbe tutto un mondo, il problema è che lo studio è stato preso seriamente, pubblicato nei Research Papers in Economics, citato dall’Economist oltre che dal Financial Times e riportato come cosa seria da infinite rivistucole pseudo scientifiche.
E’ anche interessante notare come le donne siano completamente escluse dalla formazione del pil, come se nemmeno esistessero, non lavorassero, non apportassero nulla alla ricchezza Ma si può capire che il mondo reale con la sua complessità impermeabile alle semplificazioni, interessa ben poco a questi topi di diagrammi, che non vedono al di là del naso o di qualcos’altro, anche se con le misurazioni citate è decisamente meglio il naso.
Una ragione per tutto questo c’è, anzi più di una: intanto l’imperativo publish or perish spinge molti ricercatori ad occuparsi di straordinarie cazzate, molte delle quali finiscono poi in prestigiose raccolte e spesso sui media. Ma principalmente il fatto che anche l’interpretazione del Pil come una variabile del pene, possa avere il suo spazio, è che in mancanza di alternative al pensiero unico e di fronte alle sue insanabili e perverse contraddizioni, si va alla ricerca delle più stravaganti e vuote correlazioni. Basta girovagare tra le banche dati e trovare un qualsiasi elemento che possa essere comparato a un qualche indicatore economico e il gioco è fatto. Anzi posso proporvene uno qui senza nemmeno informarmi: quanto scommettete che il 90% dei contratti di lavoro sono firmati col bel tempo in tutto il medio oriente , mentre la percentuale scende al 40% in Gran Bretagna e al 50% nell’Europa del Nord? Dunque qual è l’influenza del clima meteorologico sul lavoro, alla luce della differenza fra i salari? Mumble mumble… no, per carità signora Fornero, sto solo scherzando, non volevo mettere in ombra la sua celebre teoria della produttività e della pasta col pomodoro.
Sono giochini che nel caso dello studio finlandese risultano anche falsi sul piano del metodo perché praticamente solo in pochissimi Paesi esistono studi corretti sulla lunghezza del pene in erezione, fatti comunque su piccoli campioni, il resto sono soltanto illazioni di siti parascientifici. Ma pazienza, mentre il dottor Tatu si orienta nelle sue scelte sul Pil, a me preme dire che, guarda caso, mentre ci si affanna a trovare le più singolari e sgangherate correlazioni, quelle che la scienza economica, pur con tutta la buona volontà non è riuscita a trovare, vengono lo stesso sostenute e fatte valere nelle politiche sociali ed economiche. E’ il caso per esempio delle tutele del lavoro che non hanno alcuna correlazione con il livello di occupazione, come decine di ricerche dimostrano tanto da indurre persino l’Fmi e l’Ocse a prendere atto di questa realtà: da noi invece sembra assolutamente vitale sbaraccare l’articolo 18 per aumentare l’occupazione.
Come mai? La cosa è semplice: l’economia è semplicemente una scienza -pretesto della politica. Quando, nonostante gli sforzi, non si può dimostrare una cosa che conviene alle oligarchie economiche, la si accantona e la seppellisce in mezzo alle chiacchiere. Del cazzo appunto.