Così scrive Livia Manera sulla Lettura del Corriere della Sera, a proposito del grande John Cheever, lo scrittore americano di cui quest'anno ricorrono i 100 anni dalla nascita e i 30 dalla morte, con inarrestabili fiumi di alcol in mezzo.
Afferma Livia Manera che in Cheever - un uomo che anche nel nome rammenta un'etichetta di whiskie - l'alcolismo rappresentava un paradosso:
Un virus che distrugge nel corpo e nello spirito quest'uomo minuto, con l'aria del signore di campagna e una certa pretesa di aristocrazia, ma non sembra mai sfiorare la lucidità della sua mente.
Paradosso, senz'altro. Paradosso che comunque ha lasciato a John Cheever la possibilità di scrivere romanzi e short stories tra i più belli dei suoi tempi, pagine che gettano una singolare luce nel lato oscuro della vita americana, sobborghi e caffé del West Side, ville con piscina e bottiglie svuotate.
Però fa riflettere questa storia della letteratura americana ostaggio dell'alcol. Mica solo John Cheever e Raymond Chandler. Pensate agli investigatori o alle attrici condannate a bere spuma.