Magazine Viaggi

Quarta puntata - Le metamorfosi (o, metafisica minerale)

Creato il 27 maggio 2015 da Faustotazzi
Quarta puntata - Le metamorfosi (o, metafisica minerale)
Il sentiero saliva tra le rocce e i solchi scavati dall'acqua che per millenni era scesa aprendosi varchi nell'arenaria, noi facevamo il percorso inverso e risalivamo lentamente fino alla cresta. Camminavamo modellando il nostro respiro su quello della montagna, sembrava di sentire quelle sabbie che si consolidavano lentamente e che da dune del deserto si facevano gole di montagna. Il nostro fiato si propagava nell'aria che a sua volta si insinuava e si ramificava nei nostri polmoni, respiravamo il respiro di altri uomini e donne che erano esistiti prima di noi, poi espirando davamo forma al mondo presente contribuendo con la nostra bolla d’aria all'esistenza di questo deserto e di questo tempo. Un sentiero comincia nell'istante in cui un uomo marca per la prima volta il suolo col suo passo, imprime nella sua terra la sua azione, impercettibile testimonianza della sua presenza al mondo che si fissa nel suolo, poi il susseguirsi di altri eventi simili crea una pista che viene battuta dal susseguirsi del tempo e dei viaggiatori, compattata dal peso della memoria, screpolata dalle esitazioni, dai dubbi, dalle paure. Noi non stavamo risalendo un sentiero, passo dopo passo ripercorrevamo la storia. Un sentiero è una storia, percorrerlo significa entrare progressivamente nelle vite di coloro che l’hanno vissuta prima di noi. Fu così che su quelle montagne incontrammo viaggiatori altri tempi, genti lontane di terre lontane.
Nel deserto, una volta scavalcata la prima duna, si perdono i punti di riferimento e l’attenzione si concentra sui dettagli che sembrano emergere simultaneamente, improvvisi come apparizioni. I volti dei compagni, le loro espressioni, le voci che diventano suoni, il paesaggio che si fa luci e ombre. In basso, all'inizio del nostro cammino, ci eravamo fermati, avevamo affondato le mani nella sabbia e le avevamo sollevate per osservare la polvere scorrere attraverso i palmi chiusi a pugno. Terra, materia semplice, somma delle polveri del passato che una volta furono uomini, alberi, animali, spazio che per un attimo si faceva tempo, sabbia che si faceva clessidra, terra che si scioglieva come un liquido. Lassù sull'altopiano facevamo nostra la distesa del deserto, sotto di noi la pianura si stendeva a perdita d’occhio, noi con un solo gesto potevamo percorrerne tutto lo spazio. Sul deserto, a tratti si sovrapponevano le consistenze vaghe di nuvole di polvere che correvano portate dal vento. Pensavo al tempo lento delle pietre, percepivo la pressione del vento che le percorreva e le modellava. Dall'alto potevamo vedere chiaramente le correnti che sollevavano ferocemente la sabbia strappandola alle dune e facendola decollare verso il sole in spirali strette, attorcigliate come I serpenti che nascono sotto quelle rocce. Le correnti ascensionali portavano a noi il deserto riaggregandolo in montagna ed erano gli stessi venti che subito riprendevano a consumarle pietra dopo pietra e la scioglievano rifacendone deserto. 
Laggiù era l’immenso deserto silenzioso, e tutti gli uomini presenti e passati sembravano restare muti nel vento. Li guardavo e sentivo ogni loro azione accumularsi sulla terra, erano uomini frementi di vita, piene di aria le narici, rapidi i passi. Li seguivo con lo sguardo e con l’immaginazione ripercorremmo insieme più volte lo stesso percorso, camminavamo avanti e indietro, passavamo sopra quella terra e percorrendola la scolpivamo, e la terra prendeva forma modellata dai passi di tutti gli uomini che sovrapposti uno dopo l’altro avevano prodotto una pista che pareva seguirli per tracciare l’istante cosmico tra il loro passaggio sulla terra e il veloce tempo necessario perché l’effetto scomparisse per sempre. 
Quaggiù, tra queste montagne, i sentieri sono memoria, serbano fisico il ricordo di ciò che è accaduto ed è passato di generazione in generazione fino a diventare storia e racconto. Sono l’insieme delle impronte lasciate da vite lontane, la memoria comune che va oltre il tempo e le generazioni. I sentieri di queste montagne sono le tracce scavate da ogni passo di ogni uomo che li ha percorsi e riassumono la vita di ogni viaggiatore, dall'ultimo risalendo fino al primo. Ed era proprio per questo che dovevamo andare fino in fondo, erano proprio i sentieri scomparsi quelli più importanti da percorrere, nel deserto si doveva perdere la strada per trovarne un’altra da risalire e ripercorrendola rivivere le vite che ci erano passate prima di noi. Le strade di asfalto, laggiù in città, erano cammino sterile alla nostra ricerca; ritrovare un sentiero perduto e risalirlo quaggiù tra le rocce e il deserto significava in un certo senso risalire al senso stesso della nostra vita.
Scese la sera sulla valle e nell'altopiano e le ombre delle pietre ci circondavano chiusi tra le montagne. Prima di addormentarmi mi ricordai come in un’altra notte e in un’altra valle dalla mia tenda sentii una frana cadere lontano e pensai che il rumore di una montagna che cade deve essere la restituzione in un’unica soluzione del rumore prodotto per millenni da tutta la sua crescita. Chiusi gli occhi come per crearmi uno spazio protetto, per allontanarmi. Mi coprii con le mani le palpebre come per porre un momento, un diaframma, una separazione. Dopo un istante (o un era geologica, non lo potevo sapere) li riaprii: sollevai i palmi e vidi solo l’unico grande occhio della terra e mi resi conto che in quell'attimo stavo vivendo millenni. Vidi uomini di tempi lontani nel gesto di modellare le coperture dei forni per il bronzo e le impronte di mani primitive che rimasero impresse nella terra bagnata. Mani ancestrali, gesti che diedero per la prima volta forma ai pensieri, terra toccata, lavorata, impastata, impronte di dita che sottendono lavoro, attività, vita. Mani preistoriche nell'arenaria del deserto che fermano per sempre un gesto semplice e quotidiano rimasto come a raccogliere in bassorilievo il valore di un attimo e lasciarlo inalterato nel tempo. Quel preciso istante in cui terminarono le ere buie degli spiriti e un uomo iniziò a farsi Dio da solo, forte di un nuovo potere sulla terra. Nel momento in cui gli oggetti diventarono utensili, la magia si fece tecnologia e il sacro scienza. Fu da quel momento che iniziò un’evoluzione per cui le molecole di silicio diventarono prima punte di frecce e pugnali, poi computers e infine purissimi cristalli di stupore. 
Le pietre nella valletta parevano accumularsi come un popolo fedele nei secoli, sembravano gli occhi millenari di quella terra che un tempo era stata montagna e collina e poi era precipitata giù. Una serie infinita di sguardi immobili custodivano i segreti di popoli e tribù, i gesti delle loro mani, le tracce dei loro piedi, la fatica di vivere giorni fatti di dolore e sofferenza. Le pietre erano impilate le une sulle altre come singoli pensieri che si accumulano nel tempo e costruiscono la memoria. Sembravano custodire in esse tutta la storia della terra, ciascun sasso era un racconto che occupava il suo posto non nello spazio ma nel tempo, ciascuno era un istante dell’esistenza, la pienezza di una forma vivente che sarebbe andata inevitabilmente a finire col liquefarsi in puri ricordi. 
Quella notte era un mondo di metamorfosi, come in un sogno che cancellava la ragione si perdevano le identità delle cose e si veniva trasportati nei mondi fluidi dell’immaginazione. Allora le pietre sembravano iniziare a parlare, raccontando storie: “Ho preso molte forme nelle mie vite precedenti prima di trovarmi qui ho affilato lame strette di scimitarre, sono stata polvere nell’aria, stella splendentissima, le mie molecole sono state un libro sacro, luce di lanterna. Non c’è niente che nel mio infinito passato io non sia stata”. Percepivo le loro molecole in eterno movimento, lo sfregamento della sabbia secolare, l’esplosione di sassi prigionieri in lave primordiali, il volo di polveri dalla terra all'aria, la semplice sabbia del deserto che aveva registrato la presenza odorante dell’uomo, il suo sudore, il fluire lento del sangue nelle vene dei piedi. Era la memoria delle pietre, quella delle montagne e dei deserti, la memoria cieca della terra che riconosce la forma dei passi, la pressione dei piedi, l’impronta di una pista che si fa più profonda con gli anni fino a diventare sentiero e poi strada. E’ così che la terra ricorda, è la memoria stessa scavata dalla sovrapposizione di ciascun passo di ciascun uomo.
In silenzio ascoltavo quelle pietre, i loro spiriti, ascoltavo il suono di una manciata di terra, il suo pensiero. Ogni cosa concepisce e misura il tempo secondo il suo ritmo, secondo la formazione della sua vita. Esiste il tempo del microbo e quello della farfalla, il tempo del fiore, dell’animale, dell’uomo, dell’albero, della pietra e della montagna; il tempo del fiume, del mare, di un continente, il tempo di un atomo che produce la varietà infinita dell’universo, il tempo delle montagne e dei sassi. Settemila anni, settanta secoli: tre uomini fanno un secolo, duecento generazioni fanno una pietra, duecento vite possono scrivere tutto il mondo.
Nota. Un racconto assume un valore solo quando aiuta a comprendere la realtà del presente. Che questo scritto sia un romanzo o un racconto fa parte di un atto del catalogare, del classificare in una categoria che è puramente questione di chi legge, la qual cosa comunque è intrinsecamente estranea all'opera in sé stessa.

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :