Iniziata per davvero solo martedì scorso, con la visita di Jean-Cul, l’editore francese, e la sua coordinatrice.
Abbiamo messo in piedi il solito teatrino: l’enorme robot di cartapesta sul pianerottolo, proprio come si vede in certe agenzie, il caffé espresso con le bustine di zucchero e il vassoio, le bottigliette di minerale, i vestiti buoni, le telefonate fasulle. È divertente e, allo stesso tempo, meschino. Una insulsa commedia, una recita da scuola elemetare che però sembra dare i suoi frutti.
Jean-Cul si è ormai convinto ad affidarci anche l’edizione francese del suo giornale, tanto che, nei giorni successivi, abbiamo parlato e contrattato di compensi, chiusure, ulteriori progetti.
In effetti sono su di giri, non pensavo che le cose sarebbero cambiate così in fretta ma, anche se ho già pronti nell’humidor tre Cohiba Siglo II, non mi sentirò tranquillo fino a che non avrò la firma di Jean-Cul sul mio contratto.
Per dirla fino in fondo, l’assunzione di un impegno così grande mi agita come un temporale: dovrei essere felice, eppure provo una strana oppressione alla bocca dello stomaco. Paura? Preoccupazione? Felicità? Non lo so, mi torna in mente il bel commento su questo blog di Sara, una ragazza coraggiosa che ha mollato tutto per vivere diversamente, libera dalle logiche che io mi sento costretto a seguire, e mi domando se ricadere in questo vortice sia ciò che voglio veramente. In fondo conosco già anche la risposta, ed è no. Non è questo che voglio davvero, ma non ho scelta. I tentativi di vivere la mia vita in modo diverso, senza la pazzia di questi orari insensati, del lavoro festivo, del dover essere imprenditore per forza, non hanno avuto riscontro. Si vede che non era cosa.
Quello che invece continua a meravigliarmi è la sincronia con quello che sta accadendo, anzi, è già accaduto a Milano. Un cambiamento impensabile che però avevo già avvertito nell’aria. Un cambiamento che, come nel lavoro, un po’ mi fa paura, ma che più di tutto mi riaccende di speranza.
Finalmente, incrociando le dita, questo blog sta per raggiungere il suo scopo, il suo compimento, e questo, come tante altre cose della vita, mi eccita e mi deprime contemporaneamente. Ormai mi ci sono affezionato, e mi sono affezionato anche a chi lo ha seguito fino ad ora. Quindi non chiuderò. Intanto perché è ancora troppo presto per cantare vittoria e proclamare al mondo intero l’uscita dall’inferno, e poi perché qualcosa da dire ancora ce l’ho. Semplicemente cambierà da una cadenza quasi quotidiana, a una variabile, dettata dagli impegni di lavoro.
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