“Quasi arzilli” di Simona Morani: dopo la vecchiaia c’è la morte, e dopo la morte?

Creato il 08 aprile 2015 da Alessiamocci

“Gino svoltò indisturbato verso il garage dietro il bar e s’infilò nella vecchia Ape verde acqua venata di ruggine. L’aveva comprata nell’inverno del 1994, dopo che quelli della motorizzazione, alla visita medica, gli avevano annunciato in via definitiva che era diventato un pericolo ambulante e che questa volta la patente non gliel’avrebbero rinnovata neanche a forza di mazzette, culatelli e forme di Parmigiano”.

È uscito da poco il romanzo d’esordio di Simona Morani, la giovane autrice nata a Faenza nel 1982 e cresciuta a Canossa, in provincia di Reggio Emilia. “Quasi arzilli” (Giunti Editore, 2015) è un’opera dedicata alla terza età, poiché i protagonisti sono tutti ultraottantenni, ambientata in un paesino sull’Appennino Reggiano. I luoghi della sua infanzia, quindi, vengono riproposti in queste pagine, assieme alle figure che l’anno aiutata a crescere: nonni e zii in là con gli anni, che hanno saputo confortarla nei momenti di difficoltà e che lei si propone qui di omaggiare.

L’atmosfera non è più la stessa al bar “La Rambla”, da quando uno degli amici storici, Ermenegildo, è passato a miglior vita. Il fatto è che nel gruppetto che frequenta il locale, nessuno è più un giovanotto, e, al di là della perdita di un compagno di briscole, ristagna l’amara consapevolezza che prima o poi toccherà a tutti. Chi sarà il prossimo? La Gina o la Jole? Gli arzilli vecchietti ci fanno pure le scommesse.

Il protagonista è Ettore, un ottantaquattrenne soprannominato il Putto, perché non è mai realmente cresciuto, e non ha mai avuto una donna. La morte dell’amico gli impedisce di dormire tranquillo. Egli fa incubi in continuazione ed è colto da crisi di panico. Per questo è tutti i giorni dal medico, il dottor Minelli, e, saltuariamente, dal parroco del paese, don Giuseppe. Il suo scopo è scoprire cosa ci sia nell’aldilà.

Gino ha novantasei anni e, nonostante il parere contrario del figlio, si ostina a vivere solo, insieme a tre galline: la Linda, la Cocca e la Genoveffa. Detto Apecar, circola con un mezzo sgangherato, che guida pur vedendoci poco, senza patente e senza assicurazione. È quello che si definisce un vero e proprio pericolo pubblico.

Basilio è ex comandante della 26° Brigata Garibaldi che incanta la comunità coi suoi discorsi sulla guerra e si scaglia contro il “nemico”, un ragazzo bosniaco che ha preso in gestione il negozio di frutta del compianto Ermenegildo.

Completano il gruppo lo stomizzato Riccardo, detto Sacchetta, e Cesare detto il Sordo, che quando la moglie lo rimprovera stacca sempre l’apparecchio acustico.

Sulla combriccola incombe il cinico quanto complessato Corrado, il nuovo agente della polizia municipale, che odia i vecchi perché ormai hanno compiuto il loro percorso e non si rassegnano alla morte. Il suo obiettivo sarebbe spedire tutti alla casa di riposo “Villa dei Cipressi” appena inaugurata.

Ma i “vecchiardi” non sono dell’avviso, e combattono con tutte le loro forze per salvaguardare quel briciolo di dignità e di libertà che ancora rimane. Si battono per poter mantenere il presidio a La Rambla, luogo in cui fumano, bevono alcolici e puntando parte della pensione al gioco delle carte.

Ettore, Gino, Basilio e gli altri incarnano un’Italia in via di estinzione, quella dei nostri nonni. Ricordano con nostalgia all’immaginario collettivo quanto essi si siano divertiti e, soprattutto, che di uomini di quella tempra non ne esistono più. Un po’ come quel “pane e tempesta” di cui parlava Stefano Benni nell’omonimo romanzo, anch’esso ambientato attorno alla vita di un bar.

La prosa della Morani è fluida; l’ironia porta a fare delle sane risate, anche se le tematiche trattate fanno riflettere. Il punto di vista è di chi ha già raggiunto la “sommità della montagna”, e non può più cambiare niente. Può soltanto guardarsi indietro con nostalgia, e vivere coraggiosamente il poco tempo a venire. La morte va esorcizzata facendo quello che più diverte, senza remore né impedimenti.

Quindi, sebbene a tratti ci siano alcune situazioni e personaggi che ricordano i “bischeri” del Bar Lume di Marco Malvaldi,- credo il paragone sia inevitabile- qui troviamo personalità più complesse, che sono in cerca di dare un senso alla loro esistenza. Fra una frase in dialetto emiliano e una figuraccia, essi ci insegnano due cose: l’imperativo è divertirsi, essendo liberi di scegliere fino alla fine, ed è vietato rimanere soli.

È stando insieme che questi personaggi affrontano le avversità, ed è la loro amicizia la cosa più importante.

Un romanzo corale, che altrimenti rimarrebbe soltanto un’eco lontana.

Written by Cristina Biolcati


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