Quasi come Vivaldi
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Venezia, 1899 d.C.
Un anno ancora e il Novecento sarebbe stato salutato con gran sfogo sodomitico, le donne si sarebbero date al primo venuto e gli uomini si sarebbero ubriacati di vino, sogni a perdere e petardi.
Depose la penna convinto d’aver scritto una opera mirabile che per i secoli dei secoli sarebbe rimasta nella memoria dell’Umanità tutta.
Si deterse la testa completamente calva con il palmo della mano, più volte. Sudato, affannato per l’eccitazione, perse il seme nelle mutande. Un orgasmo che con una donna in carne e ossa non avrebbe mai raggiunto.
Traballante sulle gambe, ubriaco di gioia, con il respiro corto, aveva quasi voglia di scoppiare in lacrime: più ripensava alla storia che aveva messo nero su bianco più si sentiva vicino a Dio, e con non poca superbia immaginava di usurparne lo scranno.
Selene doveva essere già alta, piena nel suo millenario pallore, riflessa nelle placide acque della Serenissima. I gondolieri, solo di tanto in tanto, li si sentiva azzardare un mezzo stornello. Pensare che il padre avrebbe voluto per lui un destino uguale, da mane a sera sulla gondola col remo in mano anziché la penna. Quando gl’aveva detto che lui avrebbe fatto lo scrittore, il vecchio gl’era scoppiato a ridere in faccia e dategli le spalle continuando a cachinnare s’era portato via senza neppur tentare di fargli cambiare idea.
Felice come una pasqua prese a fischiettare un motivetto di Vivaldi non ostante l’ora tarda, col rischio di svegliare l’intero palazzo che d’orecchio fino non mancava. Al colmo dell’eccitazione decise che non poteva attendere il mattino per presentare all’editore l’ultima sua fatica, così in fretta e furia si calcò sulla testa calva un cappellaccio di paglia e aggiustatosi addosso una chiassosa giacca uscì con il malloppo sotto braccio.
Quasi arrivato nei pressi dell’editore un gruppetto di bravacci gli si parò davanti. Lo scrittore strinse a sé il plico di fogli, con un amore che aveva del ridicolo, manco tenesse sul seno un figlio. Quelli ridevano e basta. Lo fissavano e ridevano di lui. Chissà che gli passava per la testa. Forse che non avevano mai visto uno che il pane se lo guadagna con le lettere? Presero a spintonarlo, più per gioco che per fargli del male. Il corpo mollaccioso passava da un bravo all’altro, non opponeva resistenza, non tentava di frenare la girandola in cui era stato coinvolto. Ad un certo punto la testa cominciò a girargli di brutto, la paglietta dalla testa gli volò via, e l’ometto allentò per un istante soltanto la presa sul plico che teneva stretto al petto ma tanto bastò perché s’involasse. E cadesse nell’acqua. I fogli nel canale si dispersero subito sotto il moto delle onde eccitate dai gondolieri. Tempo un minuto e l’acqua tornò ad essere sol più bagnata dallo sguardo argenteo di Selene.
Come un ebete si portò sul limite del canale e rimase a guardare l’acqua, incantato dalla Luna riflessa e dal fischiettio stonato d’un gondoliere che andava per Vivaldi!