Di ritorno da una puntata nella città della stazione nota (dove non metteva piede da un mese e oltre), la ‘povna trova nella sua cassetta della posta una busta gialla. Non c’è mittente, e lei quasi quasi si preoccupa. Ma poi la apre, e l’intestazione è eloquente; e recita, benevola, “Polizia municipale”.
“La S.V. è pregata di presentarsi nei tali e tali giorni nel nostro ufficio, munita dei necessari documenti, per il ritiro di oggetti a Lei intestati o di sua proprietà”.
Qualcuno, poi, ha aggiunto a mano e in penna rossa la parola che la ‘povna aveva intuito già leggendo le prime righe della lettera. Vale a dire, “portafoglio”; proprio lui, quello rubato in un pomeriggio di gennaio, così improvvisamente. E che ora – seguendo i canali misteriosi di uno sceneggiatore che si diverte – ritorna a lei, in pelle e scartafacci, seguendo le pieghe avvincenti della trama.
“L’orario di ritiro è il giorno tale, da questa ora a quest’altra” – seguita il documento – “si prega di portare con sé la copia della denuncia, in mancanza della quale non sarà possibile riconsegnare”.
Primo problema all’orizzonte. Perché la ‘povna, che vive in un casino organizzato che si basa sostanzialmente su una pianta spazio-memoriale di ricordi, ha perso di vista il pensiero di quel pezzo di carta oramai da molti giorni, perché l’ultimo flash di dove fosse risale ancora al tempo della (non) neve.
Segue frenetico compulsare di angoli di appoggio, mucchi di fogli e buchi cosmici (dai quali riemergono un sacco di cose peraltro interessanti), ma della denuncia neanche l’ombra. E la ‘povna si inizia a preoccupare. Alla fine, tra un accidente e l’altro, si risolve ad aprire il cassetto dove (più o meno) archivia le bollette. Ed è lì che la ritrova nascosta insieme a ricevute e cedolini. Maledicendosi per questa improvvida ondata di ordine (che manca poco ha rischiato di farle perdere tutto), la ‘povna passa rapida all’altro corno del problema. Perché l’ora indicata per presentarsi all’ufficio è di quelle che le garantiscono una sicura assenza fino a giugno (a meno che qualcuno non inventi, finalmente, il teletrasporto). Non resta che telefonare.
“Polizia municipale, in che cosa posso esserle utile?”.
“Buon giorno, sono la ‘povna, chiamo perché mi è arrivata questa tale vostra lettera… So che avete rivenuto il mio prezioso portafoglio, ma chiamo perché non so quando posso passare”.
“Non è che per caso…” – le risponde la voce, gentilissima.
“Quattrocentoottantré!” – recita pronta la ‘povna, per poi aggiungere, di fronte al silenzio perplesso dall’altro capo del telefono – “scusi, ho pensato che volesse il numero di protocollo e l’ho interrotta, ma mi dica!”.
“No, no, volevo appunto quello” – esala la voce dall’altra parte – “aspetti, mi faccia controllare”.
Seguono varie descrizioni degli oggetti ritrovati, e poi la conclusione: “Certo, i soldi non ci sono, ma via, non le è andata male!”.
“Mi è andata benissimo, grazie!” – conviene la voce squillante della ‘povna. E l’altra la interrompe:
“E ora dobbiamo capire come ci possiamo trovare. Che ne dice della mattina prestissimo?”
“Quale è il suo prestissimo?” – domanda la ‘povna – “io prendo il treno alle sei e mezzo”.
“No, effettivamente non va bene: che ne dice di questo?”
“Mmm”
“O di quest’altro?”
“Purtroppo impossibile”.
“Va bene, allora facciamo così. Io il mercoledì mi trattengo in ufficio anche il pomeriggio. Questo è il numero di telefono. Mi chiami quando ha preso il treno del ritorno, e io la aspetto. E, se non sono malata” – (“Speriamo di no!” – si inserisce rapida la ‘povna) – “tra cinque giorni torna tutto nelle sue mani!”.
“Grazie molte, davvero; lei è gentilissima!” – si profonde in lieti apprezzamenti la ‘povna.
“Ci mancherebbe altro, è il mio lavoro; e non si scordi di portare la denuncia!” – le risponde quella.
E la ‘povna attacca col sorriso sulla faccia. Perché, anche se non ha ancora in mano di nuovo il portafoglio, cose così hanno il potere di rallegrarle la giornata.