Quattro chiacchiere al bivio: intervista a Giuseppe Palumbo

Creato il 04 agosto 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Giuseppe Palumbo è uno dei maestri contemporanei del fumetto italiano. Capace di muoversi con estrema facilità e duttilità tra fumetto d’autore e popolare, ha prestato la sua mano a personaggi quali Diabolik e Martin Mystere, oltre ad aver creato, negli anni ’80, sulle pagine di Frigidaire, il personaggio di Ramarro, il primo supereroe masochista. Alla sua carriera di fumettista associa anche il lavoro di docente di disegno e fumetto.
Nel 2013 ha pubblicato, con la casa editrice Lavieri, “Uno si distrae al bivio. La crudele scalmana di Rocco Scotellaro”, suo personale omaggio alla figura del poeta e politico meridionalista
Rocco Scotellaro, che con Palumbo condivide le origini lucane. Con questo libro a fumetti l’autore ha vinto il premio Attilio Micheluzzi come Miglior storia breve alla scorsa edizione del Napoli Comicon 2014.
Noi l’abbiamo incontrato per parlare un po’ del significato di quest’opera.

Rocco Scotellaro

Ciao Giuseppe e ben ritrovato su Lo Spazio Bianco.
Hai dichiarato che, grazie a tuo padre, in casa vostra erano presenti tutte le opere di Rocco Scotellaro. Il tuo primo incontro con questo scrittore quando è avvenuto?
Sono cresciuto avendo a portata di mano tutta la non estesa produzione libraria di Scotellaro (completamente postuma) e vivendo una distanza che me la teneva lontana. La distanza di un ragazzo, poi di un giovane, che col Sud contadino non sentiva nessun contatto se non quello di una suggestione antica, derivata dai luoghi e dagli usi familiari, anch’essi comunque lontani anni luce dal vissuto tipico dei Sassi di Matera. Mio nonno era operaio, mio padre impiegato ed io liceale, poi universitario, con un’aspettativa di lavoro nel mondo della cultura: cosa c’entravo io con i Contadini del Sud di Scotellaro? Niente. Forse. E in più c’era la passione per il fumetto, per il Nuovo Fumetto Italiano che mi portava a Roma, a Bologna, a Parigi addirittura… Poi nel 2003, quando ormai le scalmane da ventenne avevano fatto il loro tempo e ormai cittadino bolognese da molti anni, ecco arrivare l’occasione. Me la offre Inguine, la rivista di Gianluca Costantini, Elettra Stamboulis e Marco Lobietti; nel secondo numero, dovevo occupare lo spazio che nel primo aveva ospitato Zograf con una bella storia su un poeta serbo. Decido di vincere le mie riserve e prendere di petto la questione delle mie origini lucane disegnando una breve biografia di Scotellaro. Così comincio a leggere tutto.

Dunque la letteratura e gli autori del luogo in cui nasciamo sono fondamentali per ognuno di noi: sono le nostre radici e la loro lettura, a qualsiasi età avvenga, si stampa quasi a fuoco nelle nostre teste.  Lettura che non necessariamente deve avvenire negli anni di formazione.
Come ti dicevo, nel caso di Scotellaro non è stato così. Quando ero giovane, leggevo la Biblioteca di Borges edita da FMR… quella sì che ha inciso lasciando un solco netto. Scotellaro arriva molto dopo, forse quando avevo davvero tutti gli strumenti critici per comprenderlo meglio.

Perché hai deciso proprio in questo momento della tua vita e della tua carriera di dare forma materiale a quest’opera?
In parte ti ho risposto. Aggiungo che tra quella breve storia del 2003 e l’albo che è uscito per Lavieri sono passati dieci anni, durante i quali non ho mai smesso di rimuginare su quel testo, aspettando l’occasione per svilupparlo in più pagine.

Perché proprio “Uno si distrae al bivio” tra tutte le opere di Scotellaro? Perché questo suo primo racconto? In un certo senso, nella seconda parte del libro lo spieghi, ma mi piacerebbe una tua riflessione su questo.
Torniamo al 2003. Dopo aver letto tutte le poesie e i suoi scritti, pubblicati da Mondadori e Laterza, più qualche saggio critico, mi ero fatto una certa idea, ma ancora era grande la distanza che mi separava dall’aderire e comprendere appieno il senso di quella scrittura. Mi sembrava figlia di un’epoca ormai passata e che non mi era mai appartenuta… Decisi che la risposta ai miei dubbi poteva darmela solo chi aveva conosciuto davvero Rocco Scotellaro e addirittura ne era stato il mentore, una persona che conoscevo da quando ero bambino, un amico di famiglia: Rocco Mazzarone. Il dottore era una persona rara: nonostante l’età, le precarie condizioni di salute, il caldo torrido ebbe la gentilezza di ricevere me e mio padre, per farsi intervistare. E in quella occasione, mi rivelò che per capire la vera natura di Scotellaro dovevo partire  dal suo primo racconto, edito da Basilicata editrice, nel 1974, e mai più ristampato, quasi un inedito, un’opera ritenuta acerba forse dai più, ma che i più attenti riconoscevano come fondante: Uno si distrae al bivio. Titolo clamoroso. Nel 2003, trovai finalmente le mie prime risposte (dico prime perché altre seguirono) a quel senso di distanza che avevo provato così a lungo verso le mie origini. In quella scrittura nuova, in quei costrutti arditi a metà strada tra la lirica greca e il dialetto, che un po’ mi ricordavano Pazienza! In quella scalmana che porta il personaggio, Giorgi Ramorra, lontano chilometri da casa sua… Nel 2013, morto Mazzarone, morto mio padre, le mie scalmane diventate bizzarri ricordi, mentre le mie domande diventavano altre, come il senso del mio disegnare (matto e disperatissimo, per citare uno bravo), quel racconto mi ha dato altre risposte e mi ha riportato al bivio, pronto a cercarne altre…

Hai voluto, con questo libro, dare visibilità e rendere omaggio al Rocco Scotellaro autore, non l’uomo politico che forse è l’aspetto più conosciuto di questo personaggio, almeno è quello che per primo viene fuori da una semplice ricerca in rete. Pensi che il valore di questo autore non sia mai stato riconosciuto nella misura che gli spetterebbe?
Rocco Scotellaro ha avuto, lui morto, una grande fortuna, grazie alla mediazione che della sua figura fece Carlo Levi e tutta la cultura di sinistra. Fu la sua opera un importante tassello per la definizione della cultura del mondo contadino, una cultura che stava scomparendo. In questo senso, il binomio poeta del sud/ sindaco socialista ha caratterizzato la sua figura per decenni. Poi, l’emergere della Destra e i tempi nuovi che stiamo ancora vivendo, ha congelato tutto (un tempo Scotellaro si studiava a scuola, nelle antologie di letteratura italiana, ora non più)… Per me Scotellaro è anche altro: il ventenne che scrive di Giorgi Ramorra in “Uno si distrae al bivio” è un grande scrittore che possiamo leggere anche oggi e che ci può parlare superando quella patina di retorica meridionalistica che ha ricoperto la sua breve vita (morì trentenne) e le sue successive opere. Quel suo sostare al bivio ce lo avvicina.

Il libro è dedicato anche a tuo padre, Franco, poeta lui stesso. Quanto importante è stato lui per la tua formazione culturale e anche per la tua professione?
Mio padre era una persona eccezionale. Posso dirlo ora che è morto. Non che non lo pensassi anche prima, ma non l’avrei mai detto così… Lui che aveva dovuto lasciare la scuola perché mio nonno aveva perso un braccio sul lavoro e che aveva coltivato l’amore per l’arte, dipingendo e scrivendo, aveva condiviso queste passioni con i suoi amici de La Scaletta, una associazione con cui ha contribuito a dare un nuovo volto alla cultura di Matera, forse prossima capitale europea della cultura, nel 2019. Lui mi aveva voluto laureato, lui aveva assecondato felice la mia scelta per gli studi archeologici… Lui era il simbolo di una appartenenza che all’epoca non capivo e non volevo capire e quindi era lui che contestavo con i miei primi fumetti, quelli di Frigidaire. Potete immaginare come poteva leggerli, lui cresciuto in Azione Cattolica. Fino alla sua morte siamo stati vicini e distanti; non mi ha mai impedito nulla, anche nei momenti di maggiore incomprensione, all’apice del mio momento frigideriano. I suoi amici mi hanno detto quanto era orgoglioso di me. Lui non me lo diceva. Per fortuna.

Il libro si divide in due parti: la tua interpretazione di “Uno si distrae al bivio” e poi “La crudele scalmana di Rocco Scotellaro”, una sorta di piccola biografia dello scrittore, inserita in un racconto autobiografico che parla di te. Questa seconda parte si conclude con le stesse parole con cui inizia la prima “Io Ramorra l’avevo nell’animo da un pezzo”, quasi a indicare una circolarità dei due pezzi che compongono l’opera, anche una loro interscambiabilità di lettura. Quale delle due parti è nata prima dalla tua matita?
La seconda parte, che riveduta e corretta, è a grandi linee la storia che uscì su Inguine nel 2003. La prima parte è stata creata nel 2013. Ma sin dal 2003, una parte prelude all’altra e viceversa. Se poi pensi che Scotellaro nasce nel 1923, muore nel 1953, io scrivo la prima versione nel 2003 e mando in stampa il libro nel 2013, siamo in odor di cabala…

“Uno si distrae al bivio” è sì un libro a fumetti, ma nella sua forma assomiglia molto a un romanzo illustrato. Mi spiego: sono presenti, sì, anche se non molte, le nuvolette tipiche della nona arte, ma la sequenzialità, altra caratteristica importante del fumetto, in questo tuo volume viene sostituita, forse, da tavole, immagini che in un certo qual senso accompagnano il testo. Lo affiancano e “lo spiegano” anche, sono importanti e fondamentali nell’economia di tutto il libro, ma allo stesso tempo sembra quasi che tu voglia dare importanza alle didascalie con le quali arricchisci ogni pagina.
Spesso per i miei adattamenti letterari (vedi Lu Xun di Diario di un pazzo o le opere con Carlotto e De Cataldo o addirittura nel saggio grafico con Luciano Curreri, L’elmo e la rivolta), mi fanno questa osservazione. Ho un’idea diversa di fumetto, evidentemente. Se io giustappongo un testo e una immagine e le faccio seguire da altri testi e altre immagini, so che il mio cervello le elaborerà in una sequenza. Sarebbe interessante studiare questi libri con il metodo di Scott Mc Cloud e vedere quali tipi di sequenza utilizzo maggiormente. Chi se la sente? Io no. Io, continuerò a chiamarli fumetti e non libri illustrati.

Legandomi alla domanda di cui sopra, tu nel libro dici che tutti i testi sono estratti del racconto di Scotellaro: li hai rimodellati in qualche modo per adattarli alla tua narrazione o li hai presi così come sono nelle pagine originali?
Ho operato tagli per rendere più fluida la narrazione da un punto di vista visivo. Il testo ha dei gangli difficili da rendere con immagini o punti che potevano risultare ridondanti se illustrati. Per rispondere anche alla tua precedente domanda, se decido di adattare a fumetti un testo cerco di manipolarlo il meno possibile, per riprodurre l’emozione visiva che si è creata in me alla prima lettura di quel testo. Altre volte, invece, la letteratura ha ispirato mie storie e in questo caso i testi di altri autori danno spunto alla mia scrittura. Un mio prossimo libro, nato dall’attività del collettivo Action30 e scritto insieme a Pierangelo Di Vittorio, Versus, parte da uno spunto offertomi da un racconto di Dostoevskij…
Poi è di questi giorni la regia di una performance fatta di canzoni, musica popolare, reading e fumetto basata su “Uno si distrae al bivio”, nata con il gruppo materano Abbarabbiss. In questa performance il fumetto verrà proiettato mentre il gruppo suona i suoi pezzi, una voce narrante leggerà i punti del racconto che io ho tagliato nell’adattamento mentre io li illustrerò dal vivo. Un altro modo per leggere questo libro.

“Io te lo dico che sei adatto, perché sai ricevere e conservare per disperdere a tempo”. Parole dette a Scotellaro dal suo “doppio” Giorgi Ramorra: credo sia una delle più incisive, belle e precise definizioni di narratore, scrittore (per parole come per immagini). Ti ci riconosci?
Totalmente. Proprio nel disegno io lascio vivere il mio essere doppio, è nel raddoppiare il mondo con il mio disegno che arrivo a conoscerlo, ricevendolo, conservandolo e disperdendolo a tempo.

Ramarro

Giorgi Ramorra. Ramarro. Non può essere un caso, una coincidenza…
A proposito di doppi… Io a vent’anni invento Ramarro e Scotellaro Ramorra, che nel mio dialetto significano la stessa cosa. E, per entrambi, quei personaggi sono stati fondamentali a scoprirsi. Io autore di fumetti e lui scrittore.

Un’ultima domanda, slegata un po’ da quanto abbiamo discusso finora, ma forse anche no. Com’è il Giuseppe Palumbo insegnante? Che cosa cerchi di trasmettere di importante ai tuoi allievi, ai tuoi ragazzi oltre, come ovvio, le tecniche di rappresentazione e di disegno?
A scoprirsi. Appunto… Alcuni ci riescono, altri diventano bravi artigiani, altri spero ne traggano vantaggio davanti ad altri bivi.

Grazie Giuseppe, e a presto!

 Intervista effettuata via email e conclusa il 28/07/2014


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