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Siamo ancora in mezzo al guado, tra un Paese che vorrebbe cambiare, un Paese che rifiuta il cambiamento… e un Paese che si interroga su quanto gli convenga cambiare passo.
Mentre il sistema-Italia decide sul da farsi, i suoi giovani continuano a votare… con i piedi. Andandosene, o pensando seriamente di andarsene. “Un giovane su tre vorrebbe emigrare“, ha lanciato l’allarme una decina di giorni fa il presidente dell’Istat Enrico Giovannini al convegno Aspen Institute a Venezia, che ha fatto due rapidi calcoli: se gli under 35 in Italia sono quasi 13 milioni, significa che oltre quattro milioni di giovani stanno pensando seriamente di fare le valigie. Si tratta di stime, ovviamente. Se davvero tutti emigrassero, ci troveremmo di fronte a un esodo epocale. Ma non vi sembra ugualmente grave, che il presidente del principale istituto statistico italiano (non uno qualsiasi dei mille centri studi di questo Paese) lanci un allarme del genere?
Il vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello, prima allo stesso convegno, poi in un’intervista a Corriereconomia, rincara l’allarme: Lo Bello sottolinea come -dati Demopolis alla mano- il 61% degli under 35 ritenga che, terminati gli studi, occuperà una posizione inferiore, rispetto a quella dei propri genitori. Quel che è peggio, a testimonianza che questo è un Paese che deve guarire da mali profondi, ben il 78% ritiene che -per trovare impiego- occorrano le conoscenze giuste. E’ tutto ciò sostenibile? Non direi.
Prosegue Lo Bello: 20mila ricercatori italiani si sono perfezionati all’estero, e lì sono rimasti. “Un insieme enorme di persone, che contribuisce alla prosperità di altri Paesi, in particolare degli Stati Uniti. Risorse umane, che non torneranno indietro“, pecisa. Ma non è solo una questione di scienziati: nella successiva intervista a Corriereconomia, Lo Bello precisa come “si parla sempre di fuga di cervelli, ma quello di cui non ci accorgiamo è che da anni è in corso una fuga di talenti. I giovani migliori, quelli meglio formati, vanno all’estero e vengono saccheggiati dalle multinazionali. Bisogna fermare questa emorragia, o ci impoveriremo troppo“.
Un forte polo di attrazione per i nostri talenti è più che mai la Germania: secondo gli ultimi dati forniti da “La Repubblica”, Berlino, Stoccarda e Francoforte sono le tre principali città di destinazione, con un’impennata nella richiesta di ingegneri, da parte del mondo produttivo tedesco. Perchè i nostri giovani -e “choosy”- talenti piacciono tanto? Per i seguenti requisiti: alta preparazione, competenze ed esperienza, capacità di problem solving, flessibilità. Resta un mistero il perché queste interessanti e apprezzate caratteristiche restino sottovalutate, al di qua delle Alpi. Per non sbagliare, informa Der Spiegel, nel 2011 il numero di italiani che studiavano tedesco è cresciuto del 18%. Non si sa mai, nella vita…
E che si tratti di un’emigrazione sempre più qualificata lo dimostrano i primi risultati del questionario Brain Back Umbria, resi noti da poco: secondo lo studio, focalizzato sugli emigrati umbri, oltre al fatto che l’età media dei rispondenti si è abbassata a soli 36 anni, ben il 40% di loro possiede almeno un dottorato, il 32% almeno una laurea, mentre le qualifiche medio-basse sono ormai sotto quota 30%.
Cosa resta qui? Una disoccupazione giovanile al 35,1%. Dato già noto, ora confermato… anche questo “made in Istat”. Ciò che è un po’ meno noto, è il progressivo ribaltamento nelle opportunità di lavoro per anziani e giovani. Nel 2004 i 55-64enni al lavoro erano 2,1 milioni. Sette anni dopo sono crescuti di 700mila unità.
Nel 2004 erano oltre 1,6 milioni i giovani al lavoro: sette anni dopo sono crollati a 1,1 milione. In questi dati c’è il “non futuro” di un Paese.
A giovani senza futuro può solo corrispondere un Paese senza futuro.
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