Dopo essere atterrati a Cairns siamo partiti in direttissima in direzione Port Douglas, non prima di aver fatto uno stop in un centro commerciale per sbrigare le le prime cosette come comprare una scheda dati e recuperare qualche paio di mutande e un costume nuovo per Luca dato che la Cathay ha lasciato la sua valigia con tutta probabilità ad Hong Kong. L'acceleratore spinto al massimo: carichi di persone di cose arriveremo anche ai 90 all'ora.
Il van è da 8 posti, noi siamo in 7 e ci si sta comodi, ci sono solo quei problemini di regolazione della temperatura (i vetri sono inchiodati come quelli di un intercity bloccato tra Lodi e Codogno il 7 di luglio), l'aria condizionata alterna il polo all'equatore sparata o sul collo o sui piedi. Cervicale bloccata o piede di porco al girarrosto?
Siamo dall'altra parte del mondo, a quanto parte agli antipodi anche il riscaldamento della macchina è al contrario e noi dobbiamo cominciare a capirci qualcosa.
E' il 5 novembre e noi siamo in piscina al Rendezvous Reef Resort, la grande fregatura della vacanza. Il posto è bellissimo, tutto quello che è venuto dopo sembrava un posto selvaggio e triste. Mi sono addormentata ripetutamente in più posti.
Ci becchiamo il primo tramonto sulla spiaggia, scopriamo che c'è sempre dell'aceto ovunque se ti dovessero pungere le cubomeduse, un freak invoca al sole con le braccia tese sulla spiaggia (tranquillo caro, domani rispunta se tutto va bene), un altro cerca le monete o i tesori col metal detector.
L'aria è rilassata e pulita, ho tutto scombussolato, sono stanca morta, ma ho il cuore che è strabordante di entusiasmo.
A cena ho trovato un localino delizioso - The Little Larder Port Douglas - che fa cucina creativa (l'avocado formaggioso era fantastico!), con un servizio così incredibilmente lento da farti dimenticare cosa cavolo avevi ordinato. Arrivava la cameriera e noi eravamo lì, con la faccia svanita, Thomas che a tratti si addormentava sulla panca, e tutti noi ancora sconvolti dal Jet Leg che scuotevamo impercettibilmente la testa senza dare chiari e netti segni di "è il mio piatto!". Abbiamo mangiato, a caso. Cose ordinate e non. Credo. Buono e dai prezzi abbordabili [per gli standard australiani, ovviamente].
Il giorno dopo siamo partiti con una colazione a bordo piscina e un sole che spaccava le pietre.Tutti in macchina. Il viaggio comincia.
La prima destinazione è il Daintree National Park, una vastissima area di 1200 km quadrati (tanto per capire le dimensioni, è esteso quanto la città di Roma, che è anche il comune più esteso d'Italia), diviso in due parti: la Mossman Gorge e la zona di Cape Tribulation.
La nostra primissima tappa alla scoperta dell'Australia è nella foresta di questa gola tagliata in mezzo da un fiume dalle acque trasparenti: la Mossman Gorge.
Lo shuttle bus ti porta abbastanza vicino da non dover morire di caldo di prima mattina facendo strada inutile e per per 7$ circa è incluso nel biglietto di ingresso per visitare la Mossman Gorge.
Ci sono diversi percorsi di diverse intensità e si va dal "passeggiatina per ottantenni" a percorso degno di chiamarsi tale. Col primo vedi l'acqua, qualche albero e via. Sì, sarebbe davvero assurdo venire qui e non farsi tutto il giro. E' stancante ma fattibile. meglio portarsi una bottiglia d'acqua ecco.
E quindi ci siamo messi pantaloni lunghi, repellente per le zanzare, un po' di crema solare, una bottiglia d'acqua nello zaino, un cappellino, la mappa inutile in tasca.
Poi, dopo 200 metri abbiamo incontrato due australiani in costume ed infradito. Mi sono sentita come quelli vestiti da Indiana Jones ad Angkor.
Prima di tutto bisogna attraversare un ponte che sembra appena stato progettato da uno di quelli di giochi senza frontiere: se respiri balla. Quando cammini ondeggia talmente tanto che ti chiedi chi è lo stronzo che salta. Per fortuna i cavi d'acciaio ti danno un bel po' di sicurezza nei confronti di questo ponte costruito a "sacchi in spalla" a fine 800 e ricostruito nel 2010.
Camminiamo. La foresta è fittissima e si trovano numerosissime piante parassite che si arrampicano sui tronchi e creano uno scenario davvero suggestivo.
Poi, ho toccato il mio primo insetto stecco.
Ieee [festeggiamenti] Cioè, dopo aver mangiato un verme del bamboo ho toccato un insetto stecco!! Un ragazzo l'ha trovato e gli ha fatto fare un giro in mezzo alla gente. Curioso come fossero tutti assolutamente a loro agio con questo insettone gigantesco.
Forse sono tutti talmente abituati a bestie ragni e serpenti velenosi e mortali che trovare un insetto non velenoso diventa un momento di convivialità come quando da noi si trova un gattino in stile Barilla.
Ritornati al parcheggio ci siamo messi in cammino verso Cape Tribulation e il Crocodylus Resort, che la guida definisce un'economica tendopoli.
Ho già paura.
Ma Cape Tribulation mi è stato detto essere uno dei posti più meravigliosi e mozzafiato di questo pezzo di costa. Quindi l'abbiamo buttato nell'elenco degli imperdibili.
Prima di tutto bisogna attraversare il Daintree river con la cable ferry (25$ andata e ritorno), poi fare un piacevole stop al Walt Wugirriga (Alexandra Range), un point view bellissimo offuscato solo dalla cappa di afa che non rende onore allo splendore di questo angolo di costa.
Poi, stop obbligato, dato il caldo e l'umidità che rasentano la follia, in una curiosa gelateria: la Daintree Ice Cream Company, piazzata in mezzo al niente che con tutta probabilità la sera conterà i soldi come i trafficanti. Pesandoli.
È un posticino delizioso, all'ingresso si trovano tutte le piante da frutto con cui faranno poi il gelato. Ogni giorno 4 gusti diversi e curiosi: dal lampone al durian.
Coppetta, 6.5 $. Col cambio non è neanche troppo male dai. Intanto che ci godiamo il gelato arrivano una quantità di comitive sbalorditiva. È aperto dalle 11 alle 5... Poi, visti i ritmi da questa parte del mondo, vanno a cenare.
Con una dose notevole di zuccheri buoni nel sangue, mettiamo finalmente la bandierina lì, dove volevamo tanto arrivare: Cape Tribulation.
Nella lingua degli aborigeni questa regione si chiama Kulki, a chiamarla così fu il capitano Cook dopo che la sua nave si era incagliata nei coralli.
Nessun resort sulla spiaggia, chioschetti, bar e sdraio. La foresta pluviale si butta praticamente sul mare, divisa dall'acqua solo dalla lunga lingua di sabbia sottilissima.
Magari il fatto che da un momento all'altro può saltare fuori un coccodrillo che ti stacca un braccio può essere un buon deterrente dal mettere un chioschetto che serve hamburger, ma a me piace credere che vogliano preservare la zona nella sua remota natura.
A proposito di hamburger: su Cape Tribulation Rd. ci siamo fermati da Mason's store pregustando già un panino ripieno di bufalo, coccodrillo o canguro, salvo poi trovare - oltre a tante deliziose frasi tipo "tratta ogni giorno come se fosse l'ultimo e ogni respiro come se fosse il primo", anche un "sorry, we're closed!". E niente, è finita a birra - troppa - e patatine - troppo poche.
Foto su richiesta da condividere privatamente.
Anche quelle di tutti addormentati in macchina. Imbarazzante.
Tramonto a Cow Bay di corsa, una doccia al volo nella capanna e poi Aussie BBQ alle 7. E qui le 7 sono tassative perché la gente mangia con le galline e a quanto pare va a letto altrettanto presto (dopo aver bevuto 137 birre al volo)... E così ci siamo ritrovati a bere un cicchetto alle 20:10 per essere a letto alle 21, stanchi morti.
Non c'è dubbio, l'Australia ti avvicina alla natura e ai suoi ritmi.