QUEGLI OSSESSIONANTI TRILLI
Per non parlare dei vagoni ferroviari, dove costretti ad una convivenza forzata, siamo obbligati ad ascoltare le cazzate degli altri C’è chi chiama la mamma, c’è chi chiama la moglie per rassicurarla e subito dopo chiama l’amante che lo sta aspettando alla prossima stazione. Chi condivide anche con schiamazzi la gioia della vittoria della propria squadra del cuore e chi piange qualcosa che non ha più. Si combinano affari e si progettano vaganze. Insomma, un vagone ferroviario è diventato una centralina telefonica.
Abbiamo abolito libri e giornali, tanto, come diceva Tremonti, non sono beni commestibili, ma abbiamo continuato a masticare cellulari.
Pochi giorni fa ero nella sala d’aspetto del mio medico curante, non c’era pace, ma una cacofonia, un vociare di gente che parlava forte da sola. Provavo a concentrarmi sul libretto che avevo preso con me, sapendo che l’attesa non sarebbe stata breve (si trattava di “Ausmerzen” di Marco Paolini), ne ho letto alcune pagine, senza capire niente, il rumore era tale da togliere la concentrazione per seguire attentamente la lettura.
La stessa cosa si ripete sulle spiagge assolate, nei teatri prima dell’inizio dello spettacolo, nei bar, per strada, dal parrucchiere, o nel supermercato. Raramente in queste occasioni sono state dette cose veramente importanti, fondamentali, che non potessero aspettare, non dico un incontro, ma almeno una telefonata coi fili.
Le compagnie telefoniche ci hanno informato che, in questo anno di crisi, le telefonate degli italiani sono diminuite di un miliardo. Beh! Non è un gran danno, se sono diminuite le chiacchiere inutili. In quelle chiacchiere non c’è nulla di urgente e se la crisi ce ne risparmia qualcuna, fa solo bene. Ci potrebbe restare un po’ più di tempo per i nostri pensieri.