quei benedetti "villages perchés"

Da Sara

Peillon

Chiedo scusa anticipatamente, l'argomento non è nuovo, scriverò ancora una volta di "villages perchés", magari è un post da saltare a piè pari, ma cosa ci posso fare se nell'entroterra nizzardo di questi benedetti paesucoli appollaiati su punte di roccia ce n'è una caterva e mi piace scoprirli?  Meno sono turistici e più sorge la voglia di andarci, allergia da Costa Azzurra di massa, le amiche dicono che in realtà sono una snob.
Dopo un luglio con giorni piovosi novembrini, da metà agosto è cominciata la canicola. Prudentemente ed oziosamente con le amiche ce ne restiamo quatte a casa fino al tramonto, si legge, si ascolta "radio nostalgie", si spettegola, si disfa e si rifa il mondo, si gioca a burraco (ho una sfiga maledetta ed è fasullo il detto "sfortunata al gioco, fortunata in amore), poi verso le 5 del pomeriggio si parte alla scoperta.
 
Apparentemente questi borghi sembrano tutti uguali, vicoli silenziosi e deserti, vecchie pietre, angoli segreti fioriti, su e giù per scale e scalini, il municipio, la piazza centrale, la chiesa, il lavatoio, foto d'epoca che mostrano come erano e come sono diventati, restaurati ma rispettosamente salvaguardati nella loro identità.
All'ingresso di ogni  villaggio non manca mai il monumento ai morti, i poilus della prima guerra, quelli della seconda, sulla stele leggo anche i nomi Martial Cirri caduto in Indocina nel 1947, Ubaldo Cirri in Algeria nel 1956; magari erano padre e figlio, magari due fratelli, chissà che storie, dal loro paesello andare a morire in giro per il mondo.
In realtà sono tutti diversi, ognuno ha la sua personalità, delle sue peculiarità. Peillon per esempio sembra appartenere ai gatti, loro, numerosissimi, gli abitanti più in vista. Una signora racconta che ogni anno puntualmente a inizio estate la gente viene e li abbandona qui, il paese si è fatto la fame di protettore dei felini, saranno adottati e sfamati e via col racconto di storie di vite vissute a quattro zampe.
Peille godiamo del sole che scompare, gli ultimi rossori sulle montagne intorno, i lampioni che si accendono, sembra di essere a teatro, il palcoscenico si accende. Nella piazza un ristorantino alla buona di quelli giusti, una coppietta che parla fitto fitto gli altri unici commensali, tovaglia a quadretti bianchi e rossi, menù del giorno tipico di queste parti, farcis niçois, pissaladière, sardine ripiene. Siamo fortunate, il proprietario quel giorno lì è in forma e di buon umore, ci serve sorridendo.Aspremont, a 550 metri d'altezza, circa 2000 anime che lo abitano, pare che nell'antichità abbia costituito un rifugio sicuro per i liguri e nel Medio Evo divenne un posto di frontiera fra la Francia e il Regno dei Savoia. Meno culturalmente ho notato che mostra vestigia umane "attuali", ci sono panni stesi e qualcuno in circolazione per la strada, poi ha un'insegna bellissima.
Tourrette-Levens infine, nell'antichità punto di controllo della famosa "strada del sale", passaggio obbligato fra il porto di Nizza ed il Piemonte.  Si fa notare per il bellissimo tetto del suo campanile, uno dei due unici triangolari della contea di un tempo, per il suo castello del XII° secolo lassù in cima, per la scultura di certi angeli che suonano fieramente.Le amiche, tutte rigorosamente bionde autentiche d'origine controllata, sorridono, sembrano contente. Non si possono lamentare, certo non saranno "Vacanze romane" con Gregory Peck in vespa, ma francamente le ho scorazzate in giro mica male. 


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