Quei fenomeni degli italiani (in viaggio a Londra)

Creato il 26 febbraio 2016 da Redatagli

Per il mio compleanno sono fuggito con la mia Lei per una quattro giorni a Londra, ospitato da uno dei miei migliori amici che vive lì da un anno circa.
Abbiamo aspettato un sacco questo viaggio, soprattutto perché bisognosi di stimoli e di allontanarci dall'Italia, anche per pochissimo.
Certo, andare in una città che è la quinta "italiana" per presenza di nostri connazionali e seconda al mondo dopo Buenos Aires (parliamo di circa 250.000 persone eh, mica bruscolini) per evitare l'Italia fa un po' ridere, ma l'Alaska costa troppo e non mi vengono in mente altri posti dove potrebbero non esserci italiani.

Non ho viaggiato molto in vita mia, almeno non quanto tutta quella gente che pubblica foto di viaggi ogni giorno che poi ti chiedi cosa cazzo faccia nella vita, e mi son sempre tenuto dentro i confini Europei, con un paio di capatine in Scandinavia e fin troppi viaggi a Berlino.
Fin da piccolo son sempre rimasto impressionato dall'ordine di queste città. Dal mormorio composto delle strade. Dal continuo sbatterti in faccia che vivi in un paese di rincoglioniti.
Non parlo solo di un ordine estetico: Londra ad esempio è discretamente sporca, ma comunque velocemente viene ripulita. Tra lì e Berlino ho visto più lavori in corso che su tutta la Salerno-Reggio Calabria, ma come apre un cantiere ne finiscono i lavori (in tempo se non in anticipo) in altri cinque.

Mi riferisco più a quell'ordine civico, morale, di comportamento sociale che molti italiani definiscono freddo, ma che a me piace pensare come educato.
Ma nessuna critica sociale, sui servizi, sui divertimenti, si fa spot della nostra italianità quanto lo stesso italiano in alcune situazioni che sono grottesche solo da noi, e che rendiamo ridicole quando si presentano all'estero. Ovviamente parlo principalmente dell'italiano turista, quello che va su per un paio di giorni e che quindi non ha insito il senso civico, o l'educazione in generale.
Stando lì solo per quattro giorni mi son reso conto che non siamo proprio in grado di gestire situazioni quotidiane che, fatte per bene, ci farebbero balzare ai primi posti per qualità della vita.
E invece no.
Tipo:

- le code per qualunque cosa (ma qualunque davvero): che sia per ricaricare la Oyster (la carta per i trasporti), che per comprare un panino da Subway, gli italiani sono quelli che vanno alla cassa e poi vedono.
Prima arrivano lì, si guardano intorno come una vergine in un negozio di vibratori, come se tutto fosse nuovo. In realtà stanno vedendo se c'è la possibilità di infilarsi in mezzo, se possono approfittare dello svenimento di qualcuno per prendergli il posto, se magari funziona ancora il vecchio e caro "MA SBAGLIO O QUELLA È LA PRINCIPESSA DIANA A CAVALLO DI UN UNICORNO?" (ignorando il piccolo particolare che gli unicorni non esistono).
Purtroppo però la grande legge non scritta della civiltà vuole che il cassiere, molto educatamente, indichi la fine della fila dove l'italico culo deve andare a piazzarsi.

- parlare in strada: parlare, poi. Gridare. Mentre te ne vai in giro per la City senti un sacco di rumori, soprattutto di lavori in corso e di cucchiaini che sbattono nelle tazze mentre si gira il thè. A volte fai anche fatica a capire se sono inglesi, indiani, turchi o egiziani. Loro vivono la loro vita lasciandoti vivere la tua.
Poi arriva un «CAPO!» dall'altra parte della strada, così denso di quella romanità più pura che per un secondo ti senti a casa, in strada a Roma, solo più pulita.
Senti le uniche chiacchiere salire dalla folla e sono quelle di italiani che «poi j'ho detto che no, ar Fabric con te nun ce vengo!», o che «ué zio caffettino da Starbàcks prima del briefing?», per concludere con il classico «aaaaaaaaaaaaah! Anche voi italiani?».
No. Sono inglese, ma lo parlo l'italiano così bene solo perché da anni studio i comportamenti degli umani in cattività, e dopo le tribù che non sanno nemmeno che ci sono state due guerre mondiali, ci siete voi italiani all'estero.

- mangiare fuori: per gli italiani, la pizza è meglio di qualunque cosa. Mangerebbero pizza sempre, perché l'indiano è troppo speziato, il turco troppo pesante, il cinese chissà che ci mette dentro e l'inglese non ha cultura culinaria.
E quindi spendono 25 sterline per una pizza, impastata a capocciate da Xian, cotta col calore corporeo di Ahmed, condita con gli avanzi di Adil ma servita da Marco, a Londra da 3 anni che è passato da lavapiatti a cameriere e che spera nel sussidio che tanto probabilmente non arriverà più. Il tutto nel locale di Paul, che da dietro il bancone ridacchia guardando la scena.
In realtà Londra offre una varietà tale di cibi che è impossibile, non voler provare altro.
E non c'è nemmeno la scusa del «eh ma sono allergico a» perché dovunque, e dico davvero dovunque, si trovano menù alternativi ed inviti a spiegare le proprie eventuali intolleranze per essere meglio serviti.
Io, da celiaco, ho tranquillamente mangiato una colazione inglese come fatto incetta di cereali in un posto che vende solo quelli insieme al latte, ed alla possibilità di mangiarteli su un letto trapuntato con le coperte di SuperMario. Giuro.

- il non sapere mai nulla: e non nel senso di omertà, quella la lasciamo ad altri discorsi.
Parlo del non essersi informati prima, il non sapere nemmeno le basi, il tutto condito probabilmente dall'avere un inglese scarso se non assente e quindi ridurre il tutto ad una macchietta che a Londra (ma anche a Berlino, a Parigi, a Dublino) è capitato per caso.
Dicono di non sapere come fare a ricaricare la Oyster, a distribuirsi alle casse dei negozi (quando sentite quelle due parole pronunciate «NECZT PLIS!» e non avete nessuno davanti a voi, significa semplicemente che tocca a voi!), non imparano subito almeno le basi delle monete (lo so che è difficile, ma piccola pesante 1 pound, enormi cinquecento lire 2 pound, grosse a sette lati 50 pence, piccole a sette lati 20 pence).
Non sanno che se c'è scritto sulla carta di imbarco, vicino al numero di posto, «ENTRATA POSTERIORE» significa che se entri da dietro è meglio per tutti, così eviti di dover fare il rugbista che col trolley a mò di scudo avanza dalla poltrona numero 1 perché ha il 28, rallentando chi invece ha semplicemente letto e capito che entrando da dietro si farebbe prima. Teste di cazzo.
E poi davvero, di nuovo: le file. La fine della fila te la indicano a grosse bracciate, dal fruttivendolo al tipo dei controlli in aeroporto. Fanno i gesti, non è complicato.

Per fortuna c'è chi va per rimanere, e porvare a costruirsi un futuro tutto per sé chè in Italia sarebbe davvero difficile. Il mio amico, così come altri italiani che conosco e che son più o meno scappati da qui, o tornati lì essere scappati un'altra volta da qui, fanno parte di quella tranquilla parte di connazionali che sono lì per loro, per i loro progetti, i loro sogni, e non per mandare un SMS a casa tra una festa al club e due notti in giro.
Sono una parte bella, quella fatta dai sognatori, magari anche egoisti o solo molto determinati, ma è bella e ben venga che esista.
Sempre.

E quindi alla fine ti ritrovi in aeroporto, a Stanstead, stanco e nervoso al pensiero del rientro. Le facce sono le stesse dell'andata, che la domenica soprattutto torni insieme alle persone sconosciute con cui sei partito. Come fosse un segnale che in realtà non te le sei mai scrollate di dosso, loro ed i loro italianissimi difetti. Perché alla fine sei italiano anche tu, e per quanto Europeo tu voglia sentirti non saranno quattro giorni a farti comparire la bombetta in testa ed una foto della Regina in camera. Io per esempio ho viaggiato tutto il tempo con l'abbonamento settimanale taroccato.

Jacopo Spaziani

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