Al funerale di Pasolini, morto ammazzato dieci anni prima di lei, Alberto Moravia, che non era uomo di scalpori retorici, gridò: "Abbiamo perso prima di tutto un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nascono tre o quattro soltanto, in un secolo". Il poeta dovrebbe essere sacro, protestò Moravia. Aveva ragione. Ora noi pronunciamo più spesso ma senza naturalezza il nome di Italia, come di qualcosa cui ci attacchiamo perché vogliono portarcela via. Presidiamo Risorgimenti mentre si tirano sassate intrepide al monumento di Garibaldi e di Mazzini, ospiti secolari di piccioni. Andiamo a vedere "Noi credevamo" perché abbiamo paura di non credere più, e ci interroghiamo sulla lingua del tempo presente perché l'hanno presa come si prende una ragazza da un marciapiede, e la si scaraventa giù a cose fatte davanti a un pronto soccorso....
Eppure questo paese storto che la geografia manda alla deriva nel suo mare come nelle domande trabocchetto appena rinverdite, dove Bari è più a nord di Napoli e Trieste è a ovest di Napoli, e la storia completa l'opera, è soprattutto affare di poeti. Come nel programma di terza, Dante e la canzone di Petrarca e Foscolo in Santa Croce e Leopardi in visita alla tomba di Tasso e le mura e gli archi vuotati di gloria, fino alle canzoni popolari e dei cantautori che ricantiamo senza badare più a che cosa dicono