Invece niente nazionale rosa e l’avvio di un'altra stagione agonistica pasticciata. Sono passati 365 giorni ed il 29 dicembre 2013 otto squadre torneranno in campo, e non per esibizioni o tornei, ma per i preliminari di Coppa Italia. Escamotage necessario per mettere una pezza di equità all’organizzazione di una Coppa figlia di una serie A a 42 squadre. La formula della Coppa Italia dello scorso anno (quando la massima serie aveva tre gironi da 12 squadre e non 14 come oggi) faceva acqua da tutte le parti ed è stato palese per tutti che alle F8 di Pescara non erano certo arrivate le migliori squadre. Nella stagione 2013-2014, accanto all’inspiegabile aumento del numero di squadre ammesse alla serie A, è stato fortunatamente introdotto anche l’imbuto dei preliminari di Coppa, che consente di incrociare le squadre dei vari gironi prima di arrivare alle Final Eight. Tutto sommato una notizia positiva, ma restano i tanti perché di certe scelte. Rimane tutto nel limbo dell’insano masochismo italico, diciamo così.
Insomma la differenza tra serie A nazionale e serie C regionale si vede e si sente, e non è solo nella differente caratura delle atlete, nel numero degli allenamenti o nelle trasferte lunghe. Direi che prima ancora dei piedi buoni e dei soldi, fare la serie A dovrebbe essere una questione di mentalità. Creare, costruire, organizzare e poi saper gestire.
Stridono rumorosamente con questo futsal di elite ideale, le recenti vicende di alcune società del girone C. Il Five Molfetta si è ritirato due settimane fa per contrasti interni e la Jordan non ha più una squadra presentabile per la massima categoria. La serie A dovrebbe essere il vertice di una struttura piramidale, che dalla base ampia sale verso una cima nella quale ci sono poche eccellenze. E quando una squadra collassa, la responsabilità è di tutti, dirigenza, staff e giocatrici, ma anche di tutto il sistema, vertici federali, altre società, giornalisti. Nessuno di noi se ne può lavare le mani.
Mi chiedo quanto valga oggi firmare un contratto e a cosa serva chiudere la stalla quando i buoi sono fuggiti e poi cospargersi il capo di cenere? Con quanta superficialità si prende un impegno e come si fa presto (giusto in tempo per l’apertura del mercato invernale?) a tirarsi indietro, tergiversare, cambiare idea.
Servono tanti ingredienti per sopravvivere alla massima serie nazionale (e non dico vincerla): soldi, capacità, mentalità, organizzazione. Occorre essere più manager che appassionati, o meglio ancora manager appassionati. Per esperienza so che le giocatrici fanno quello che la loro società gli permette di fare, e saper gestire bene uomini, donne e risorse non è cosa da tutti e non da subito, a meno di veder poi fallire una squadra dopo l’altra, fino all’implosione stessa del movimento.
La serie A femminile deve ancora crescere tantissimo, ma non nei numeri, ma in qualità. Il futsal è uno sport giovane, la serie A c’è da soli tre anni, le società si stanno strutturando, bla bla bla …è tutto vero. Ma abbassare le barriere in ingresso come si è fatto ogni anno, fino a passare da 24 a 42 squadre, non consente di fare selezione, tutt’altro. E siccome parliamo di Serie A e non di base e di giovanili, mi sembra assurdo che vengano utilizzate strategie incompatibili con gli obiettivi. Ma di quali obiettivi parliamo? Numeri? Soldi? Potere? O c’è anche il Futsal? Di questo grande calderone chiamato serie A, alcune società ci si riempiono la bocca e la federazione le casse, ma l’utilità per il futuro di questo sport è assolutamente negativa: troppo divario tra le squadre, partite inutili, disaffezione del pubblico, spreco di risorse, disinteresse degli sponsor e dei media, fino al ritiro delle squadre o al fallimento delle società. I fatti di questa prima parte della stagione confermano che il giocattolo si stà già rompendo e che lo spettacolo sta diventando una farsa.
di Letizia Costanzi