«L’immaginario cattolico è un modo straordinario di esprimere il viaggio dell’uomo. Io ritorno a quelle immagini d’istinto» ha detto in un’intervista
«High Hopes»
«Ridarà la vista ai ciechi, resusciterà i morti, guarirà i malati»; «venite uomini di Gedeone, venite uomini di Saulo, venite figli di Abramo, noi che aspettiamo fuori dalle mura del paradiso»; «la sua grazia non fallisce»; «insieme cammineremo nella terra di Canaan». Anche nell’ultimo disco, significativamente intitolato High Hopes (Grandi speranze) e in uscita il 14 gennaio in tutto il mondo, Bruce Spingsteen non rinuncia a citare la Bibbia. Lo fa nel brano Heaven’s Wall, dove, in un levarsi di braccia verso il cielo, i riferimenti alle sacre scritture sono evidenti nei versi sopra riportati e in quelli che evocano Giona nel ventre della balena e la samaritana al pozzo di Sicàr. Ma anche in altri brani il Boss si affida a un contesto religioso non meno evidente. Come in Hunter Of Invisible Game, dove invita a pregare per se stessi, perché non si «cada quando l’ora della salvezza arriverà per tutti noi»; o in This Is Your Sword, dove, dopo aver parlato di «un mondo pieno della bellezza dell’opera di Dio» minacciato dalle tenebre, invita a non cedere: «Ora questa è la tua spada, questo il tuo scudo / questo è il potere dell’amore rivelato /Portalo ovunque vai / e dà tutto l’amore che hai nella tua anima». Non una novità, come sanno bene i fan, abituati ad ascoltare nelle canzoni del loro beniamino echi mai sopiti delle sue radici cattoliche. Una pervasività costante – sia pure non sempre univoca e giunta dopo giovanili messaggi di ribellione, non privi di banalità e di qualche tratto blasfemo – che di recente ha spinto Azzan Yadin-Israel, docente della Rutgers University di New Brunswick, in New Jersey, a organizzare nientemeno che un corso sulla teologia springstiniana. In passato altri atenei statunitensi avevano tenuto seminari sui testi di Springsteen, puntando soprattutto sul messaggio sociale e politico, ma nessuno finora si era spinto a tanto. Un'esagerazione? Forse, ma non c’è da meravigliarsi troppo, visto che non sono mancati negli anni saggi di teologi cattolici e protestanti che attestavano la sensibilità religiosa del cantautore americano, l’uso di un linguaggio e di una simbologia tratti dalla Bibbia. Anche «La Civiltà Cattolica» nell’ottobre 2002 dedicava al Boss un lungo articolo di padre Antonio Spadaro dal titolo «‘La risurrezione’ di Bruce Springsteen». Alcuni – come «Time» in occasione della pubblicazione di The Rising, disco militante dopo la tragedia dell’11 settembre – si sono persino spinti ad attribuire ai testi del rocker una qualità redentiva laddove, tra desiderio di fuga da un presente difficile e un anelito a un futuro migliore, fanno riferimento alla dicotomia perdizione-speranza, puntando chiaramente su quest’ultima, anche se non sempre dietro alla rinascita vi è un richiamo diretto al trascendente. The Promise Land, la terra promessa di Springsteen, divenuta Land Of Hope And Dreams, terra di speranza e di sogni, nel penultimo disco Wrecking Ball, non sempre è quella di Dio, ma più volte tuttavia coincide con essa. E non a caso ci si è spinti a trovare un legame stretto tra l’appassionarsi alla musica del Boss e una esperienza di conversione di carattere religioso. E questo perché le canzoni contengono molti riferimenti alla rinascita spirituale e al rinnovamento interiore.Già dopo l’uscita di Tunnel Of Love, nel 1987, la rivista «Rolling Stone» sottolineava che poteva essere «chiaramente percepita l’educazione cattolica ricevuta da Springsteen; i protagonisti pregano ripetutamente di essere liberati dal male, le storie d’amore sono presentate come una manifestazione della grazia divina». Il tutto come contraltare ai dubbi e alla percezione del male e del peccato ben noti nella produzione del cantautore, che con i suoi testi esplora e racconta da oltre quarant’anni quelle che oggi potremmo definire, con un’espressione di Papa Francesco, le periferie esistenziali della provincia americana sempre in bilico tra il mito dell'american dream e la disillusione di una realtà ben diversa. Storie di uomini e donne normali, dunque, ma anche nascosti eroi del quotidiano, con le loro debolezze e le loro paure, la loro rabbia e la loro voglia di riscatto. Che non si tratti di semplici speculazioni lo testimoniano alcune dichiarazioni dello stesso Springsteen. «Credo che nei primi dodici anni – disse al “Corriere della Sera” il 12 ottobre 2002 – accumuliamo le immagini che ci accompagneranno per tutta la vita. Io frequentavo una scuola cattolica. L'anima non è un'astrazione per un bambino. È molto reale. La prendi alla lettera. E l'immaginario cattolico, così come la Bibbia, è un modo straordinario di esprimere il viaggio dell'uomo, dello spirito umano. Io ritorno a quelle immagini d'istinto». E ancora al «New York Times» il 25 aprile 2005, rispondendo all'intervistatore che notava come «pensieri di redenzione, scelte morali e invocazioni a Dio» si fossero fatti più espliciti nelle ultime produzioni, il Boss ribadiva: «Era qualcosa che ho allontanato per molto tempo, ma ci ho ripensato molto più tardi. […] Non sono un praticante, ma mi sono reso conto, col passare del tempo, che la mia musica è piena di immaginario cattolico». E aggiungeva: «C'era un potente universo capace di sviluppare un forte immaginario che diveniva vivo e vitale e vibrante, ed era in grado contemporaneamente di suscitare paura e offrire una promessa di estasi e di paradiso. Era questo incredibile panorama interiore che si creava dentro di te. Crescendo, ho assunto un atteggiamento meno difensivo. Penso di aver ereditato questo particolare panorama e penso di poterlo ricostruire in qualcosa di veramente mio». Non mancano neppure gesti di devozione, a testimonianza di una fede talora dubbiosa e vacillante ma probabilmente mai venuta meno. Uno ce lo racconta Ermanno Labianca, che al Boss ha dedicato diversi libri, tra cui una trilogia di analisi critica dei testi, edita da Arcana. «Quando incontrai Springsteen a Bologna, nel 1998, lo scorsi accendere un cero – per il padre, morto da poco, mi disse poi – nella basilica di san Petronio. Gli chiesi quanto si sentisse religioso, visto che qualche suo brano era stato definito una preghiera laica. Rispose che si era sempre sentito un cattolico in fuga, anche se fin da piccolo era stato invitato ad ascoltare le preghiere. Mi disse anche che la Bibbia aveva avuto per lui una grande importanza». «Camminava per le navate con rispetto – aggiunge Labianca – e con la consapevolezza di essere molto piccolo, lui con la sua arte, al cospetto dei grandi artisti che avevano affrescato quella basilica. Gli raccontai che alcuni di loro avevano trascorso 10-15 anni sdraiati per ore su una impalcatura per completare quegli affreschi. Diede un umile, nuovo valore ai suoi ‘capolavori’. Non so se si trattasse di una garbata cortesia verso la situazione e il Paese che lo ospitava, ma le sue parole e il suo candore mi colpirono molto. Se credi nelle qualità di un artista, se ami le sue canzoni traendone forza, fiducia, amore, quando lo scopri così aderente a tanti sentimenti da lui espressi in musica senti di aver ricevuto una bella ricompensa».
(©L'Osservatore Romano – 14 gennaio 2014)