Quel che il referendum dice a noi sardi

Creato il 14 giugno 2011 da Zfrantziscu
Quando la maggioranza degli elettori boccia quattro leggi volute da un governo, non c'è dubbio che quel governo esca con le ossa rotte dal voto. E poco importa che alcuni dei problemi lasciati aperti da quella bocciatura rappresenteranno presto delle brutte gatte da pelare sia per il governo bocciato sia per qualsiasi altro governo dovesse sostituirlo. Dubito, però, che questa sostituzione ci sarà come conseguenza del voto referendario anche perché non mi pare proprio che il no alle quattro leggi sia un sì alle forze politiche di sinistra che, a parte l'Idv, sono arrivate a cose quasi fatte. E questo al di là del tentativo fatto di espropriare i comitati per il sì del risultato straordinario del loro lavoro. Hanno dimostrato di saper innovare la politica anche e soprattutto grazie all'utilizzo dell'Internet, strumento efficacissimo nel coalizzare consenso intorno a parole d'ordine come “No alla privatizzazione dell'acqua”, approssimative fino alla simulazione, ma funzionali e utilissime. “Non è tanto la situazione attuale dell'acqua che è pubblica, quel che mi interessa” mi ha detto un amico forte sostenitore del sì. “È un avvertimento preventivo a chi volesse domani privatizzarla come è successo in certi Paesi.” Lui, insomma, come credo molti altri, ha dato una risposta a un quesito non posto.Ma ho delle serie difficoltà a credere che, almeno allo stato attuale, i comitati, vincitori alla grande di una battaglia per il no, siano poi capaci di coalizzare – anche attraverso l'Internet che hanno ora saputo usare benissimo – una battaglia per il sì. Un conto è dire “No alla privatizzazione dell'acqua”, conto diverso è avere un accordo sul dove, per esempio, il pubblico troverà i soldi per distribuire acqua buona, sana e sufficiente a tutti. Un conto, e così torniamo in Sardegna, dire no alle centrali nucleari, come per due volte abbiamo detto, una volta per casa nostra e un'altra per la casa abitata da tutti i cittadini della Repubblica. Altro conto sarà dire quali fonti utilizzare per dare energia sufficiente alla nostra Terra.Ancora prima, ci sarebbe da stabilire che cosa sia “sufficiente”, la quantità di energia di cui abbiamo bisogno per la nostra prosperità. Per dire, le fabbriche energivore e quelle altamente inquinanti dovranno essere accompagnate a una dolce morte o salvate costi quel che costi? Le nostre anime belle ecologiste come reagiranno alla determinazione con cui altra parte della società sarda vorrà salvarle? Tutti uniti contro il nucleare, dunque. Ma tutti uniti anche a favore della energia verde e/o blu? Chi sa? Dietro una domanda come questa si nasconde uno scenario assai intrigante destinato, credo, a opporre chi ha in mente per la Sardegna un futuro di sovranità e chi, invece, ne auspica una autonomia moderata da una economia pubblica, statalista fin che si può. Immagino che sarà questo il tema più importante delle future battaglie politiche e culturali in Sardegna, pur se la politica mi sembra si attardi su problemi irrisolvibili se non aggrediti alla loro origine: il distorto rapporto fra Sardegna e Italia. Molti ne hanno consapevolezza, ma sono impietriti davanti alla difficoltà del coraggio. Secondo quanto scrive qui Torchitorio ci sono apposti segnali di vita nella politica sarda dopo le amministrative. Ancor più, penso, nel dopo referendum. Speriamo.

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