Quel che resta de l’aquila dal terremoto del 2009

Creato il 06 aprile 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Giovanni Agnoloni 

A quattro anni dal terremoto dell’Aquila (2009), la sensazione che prevale in me è di straniamento. Quel giorno ero “via col vento”, per ricordare un celeberrimo film girato a Charleston, in South Carolina. Era proprio lì che mi trovavo, e leggere sui giornali la notizia mi stordì come se si trattasse di un’assurdità, di uno scherzo di pessimo gusto. Poco prima o poco dopo, non ricordo, quella stessa mattina visitai il sito dell’amico e collega Davide Sapienza, scrittore e viaggiatore, oltre che grande amante della natura e del camminare.

Sincronicità? Fatto sta che due anni dopo, cioè a metà tra quel tragico 6 aprile e oggi, Davide celebrò il secondo anniversario del sisma con un servizio a piedi per le strade dell’Aquila, in compagnia dello scrittore Sandro Cordeschi, mandato in onda dal canale RSI – La 1 della televisione svizzera. Passi che iniziavano dai boschi, varcavano il fiume e si addentravano nel mistero spettrale di quel che restava del capoluogo abruzzese, colto nella sua nudità nel mezzo di una transizione che pare ancor oggi, purtroppo, destinata a durare a lungo.

Davide ha gentilmente voluto rispondere ad alcune mie domande.

- A quattro anni dal sisma che ha distrutto e svuotato L’Aquila, qual è lo stato dei lavori? È cambiato qualcosa, dal tempo del tuo servizio “La democrazia del camminare” per la televisione svizzera?

Leggo dai giornali che ci sono difficoltà a sbloccare i finanziamenti per la ricostruzione. La cosa mi sgomenta, e dovrebbe sgomentare tutti. Laggiù, in base a quello che sento dire da alcuni amici abruzzesi, il tempo si è fermato. Il problema di fondo, da ciò che ho percepito in più visite negli anni scorsi (l’ultima nell’aprile 2012) è che la gente non ci crede più. L’anno scorso ho notato un abnorme aumento delle auto di grossa cilindrata e di lusso. Pensavo fosse una coincidenza, ma un paio di amici mi hanno confermato che è così: che oramai in tanti pensano non valga la pena guardare più in là del momento. Oltre a tutti i problemi profondi: aumento dei suicidi, aumento dell’alcolismo, aumento del disagio umano in genere. Nell’ultima visita avevo fatto un incontro anche con alcune classi di scuole superiori alla casa di Onna, un dono della Germania, molto bello, in mezzo alle macerie. In mezzo a un silenzio irreale. In mezzo agli sguardi persi di tante persone che nel terremoto avevano perduto un figlio, un parente, un amico…

Un fotogramma del reportage della TV svizzera (da la1.rsi.ch)

- In quel reportage a piedi evidenziasti molto bene come lo spazio della città, svuotato di abitanti e di vita, sia un mondo privato di un punto di vista. “Chi guarda che cosa”, nell’Aquila sopravvissuta al sisma?

Sai, nel reportage avevo voluto l’amico scrittore e professore di liceo Sandro Cordeschi dell’associazione LHASA, perché lui conosce bene il tessuto geografico e umano della città, intesa come territorio esteso anche al di fuori delle mura. E ovviamente dentro le mura e in certi luoghi – dove siamo entrati senza tanti complimenti per sentirci in sintonia, ovvero clandestini come è clandestina la libertà di girare nella città – il punto di vista non esiste più. C’erano cumuli di macerie. C’era il vuoto. Ma un vuoto incolmabile perché non esiste progettualità, perché anche geologicamente non è semplice lavorare su una nuova città, anche se viene da dire che almeno le macerie potevano essere rimosse. Si dice spesso, “sì, ma dove?”. Da qualche parte. Come si sono trovate aree per l’ennesimo e inutile centro commerciale o per altre amenità del consumismo, si trovava lo spazio anche per le macerie. Almeno, questa è la mia sensazione epidermica, e non solo.

- Tutto il tuo impegno di scrittore e giornalista, da diversi anni ormai, s’incentra sul recupero e la valorizzazione della dimensione naturale. Che lezione deve trarre l’uomo da eventi pur sempre naturali come questi terribili disastri?

La lezione? Non posso dare lezioni certamente a nessuno, tantomeno agli aquilani. Ma sicuramente penso che la lezione che noi dovremmo imparare sempre è che la malattia più diffusa è la perdita di forza spirituale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia era rasa al suolo e molto povera. Eppure c’era una forza interiore che ha permesso la ricostruzione. L’Aquila dunque mi insegna che forse invece oggi ci manca la forza interiore, spirituale, intellettuale, per reagire di fronte ad avversità come un sisma: reagire anche comprendendo che non è possibile continuare a tollerare corruzione e superficialità che portano alla costruzione di edifici non idonei in una zona sismica come quella. Dunque la lezione è che dovremmo guardare alla classe dirigente malata e inetta come al riflesso di noi stessi, della nostra società che ogni giorno noi contribuiamo a costruire o a smantellare.

Per saperne di pià consulta l'articolo originale su: 

http://www.postpopuli.it/22947-quel-che-resta-de-laquila-dal-terremoto-del-2009/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=quel-che-resta-de-laquila-dal-terremoto-del-2009

Segui @postpopuli


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :