Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)
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di Giuseppe Panella
Lo specchio e la speranza. Mihaela Cernitu – Aurora Speranza Cernitu – Giovanna Ugolini – Liliana Ugolini, La pasta con l’anima, Firenze, Novecento Poesia, 2010
Scrive Stefano Lanuzza in una sua simpatica nota (La pasta e l’amore…con la Mezzaluna, lo Specchio, l’Unicorno e l’Ombra) che precede i testi e le opere pittoriche raccolte in questo quaderno di Novecento Poesia:
«Vermicelli maccheroni garganelli, fusilli ravioli fettuccine, cappelletti bucatini paccheri, gnocchi agnolotti lasagne, trenette tagliolini linguine, pappardelle penne fettuccine…, tutta pasta: lunga, corta, liscia o rigata; e non la cucini che per amore… Allora, quanto amore e quanti fili di pasta nelle tempere su tela di Giovanna Ugolini… Fili, cui pericolosamente s’appendono dei cuochi-clown, tesi come funi ascendenti verso una mezzaluna orientale e un cielo affollato di voli, nuvole, un pallone aerostatico e un aquilone. Ecco poi, sorta di romantica circense, la fanciulla in rosso che, seduta a un tavolo con dei piatti pieni di spaghetti dinanzi a una finestra aperta sulla primavera, sembra cullare la sua luna-bambina. […] O perché non t’attacchi anche tu a quegli altri fili di pasta? Sono liane, ondeggianti altalene, cedevoli corde, forse righe d’un trepidante calepino di versi… sono proprio le poesie di Liliana Ugolini. Lei, dolce buona gentile, le sperimenta come approntando, con tutto l’amore, “una ciotola della minestra”. Tuttavia l’amore è anche narcisistica autocontemplazione in uno specchio a volte luminoso e terso, altre volte opaco e adunco dove – scrive Liliana – balla danze selvagge una beffarda, ingovernabile marionetta fatta di luce e ombra; e sostenuta da “fili appesi alla luna”» (p. 5).
Nelle righe riportate sopra è riassunto il senso dell’operazione sincretica attuata e verificata da Liliana Ugolini e Mihaela Cernitu, poetesse, e Giovanna Ugolini e Aurora Speranza Cernitu, pittrici e illustratrici, in questo testo breve ma ricco e succoso e dolce come un’arancia di Sicilia o un ananas dell’America del Sud. Per Mihaela Cernitu, il passaggio fondamentale per arrivare alla poesia è quello – stretto e felice – del sentimento d’amore. Il giorno e la notte, la vita e le sue avventure, il dolce e l’amaro dell’esistenza passano attraverso la vitalità che l’amore concede ai suoi “devoti”:
«LE ABITUDINI QUOTIDIANE. Comincia il giorno con un suono bianco, / l’erba è nel suo attimo di carezze, / è in fretta, si rotola oltre di noi, / vivace come una piuma nel vento. // Se non esistessi io, / tu terresti il giorno a chiacchierare / fino… / tramonta il sole fra noi» (p. 14).
Tutto il giorno, dunque, è fatto per l’amore e il mattino così come la sera e il tramonto del sole sono occasioni per viverlo. Amare è un’abitudine quotidiana che si prolunga nel tempo e non è destinato a un solo momento del giorno e della vita ma vale per sempre, per tutti, nel bene e nel male.
Lo specchio, invece, per Liliana Ugolini, è il simbolo della partecipazione al mondo anche di ciò che apparentemente dovrebbe essergli (o rimanergli) sempre lontano: i riflessi i sogni le speranze le ambizioni le qualità nascoste degli uomini e degli dei:
«Non c’è MAGIA nello specchio / tutto sappiamo della rifrazione / eppure l’altro da me / parla come un’ombra / e di riflesso sorride la MAGIA / inconoscibile. // Leggero lo specchio / vola in immagini / vuoto / pieno a colori / liscio di lastra salmastra / e terso d’aria. Dentro / ci balla la marionetta / in rifrazione di fili / appesi alla luna» (p. 35).
Negli specchi si trovano nascoste e disponibili tutte le immagini: gli uomini vi si ritrovano e si provano gli abiti che indosseranno nella vita per compiere fino in fondo il loro dovere di marionette.
Così l’amore si rispecchia nel mondo e il mondo si ritrova nello specchio della vita per completare il quadro compiuto di un’esistenza fatta di rappresentazioni di ciò che si ama e che si spera di realizzare riflettendo se stessi negli altri, come barche che navigano nella corrente in attesa di un approdo comune.
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