QUEL CHE RESTA DEL VERSO n.50: Vincere la saudade. “Poesia meridiana speciale Portogallo”, a cura di Regina Célia Pereira da Silva

Creato il 15 settembre 2010 da Retroguardia

Il titolo di questa rassegna deriva direttamente da quello di un grande romanzo (Quel che resta del giorno) di uno scrittore giapponese che vive in Inghilterra, Kazuo Ishiguro. Come si legge in questo poderoso testo narrativo, quel che conta è potere e volere tornare ad apprezzare quel che resta di qualcosa che è ormai passato. Se il Novecento italiano, nonostante prove pregevoli e spesso straordinarie, è stato sostanzialmente il secolo della poesia, oggi di quella grande stagione inaugurata dall’ermetismo (e proseguita con il neorealismo e l’impegno sociale e poi con la riscoperta del quotidiano e ancora con la “parola innamorata” via e via nel corso degli anni, tra avanguardie le più varie e altrettanto variegate restaurazioni) non resta più molto. Ma ci sono indubbiamente ancora tanti poeti da leggere e di cui rendere conto (senza trascurare un buon numero di scrittori di poesia “dimenticati” che meritano di essere riportati alla memoria di chi potrebbe ancora trovare diletto e interesse nel leggerli). Rendere conto di qualcuno di essi potrà servire a capire che cosa resta della poesia oggi e che valore si può attribuire al suo tentativo di resistere e perseverare nel tempo (invece che scomparire)… (G.P.)

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di Giuseppe Panella

Vincere la saudade. Poesia meridiana speciale Portogallo, a cura di Regina Célia Pereira da Silva, Grottaminarda (AV), Delta 3 Edizioni, 2010

La poesia portoghese non si scrive soltanto in Portogallo – in soldini, ecco il senso dell’operazione coordinata dalla professoressa Regina Célia Pereira da Silva, docente di Lingua, Cultura e Traduzione Portoghese dell’Istituto Camões presso l’Istituto Universitario “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e fortemente voluto da Giuseppe Iuliano e Paolo Saggese, i due ispiratori del Centro di documentazione sulla poesia del Sud. E al Sud del mondo certamente il mondo culturale portoghese e lusitanofono certamente appartiene – per ispirazione, per tradizione, per appartenenza etica e storica, per destino epocale e individuale.

In questo breve ma succoso fascicolo di “Poesia Meridiana”, organo letterario del già citato Centro di Documentazione sul Sud, non viene schizzato soltanto un quadro significativo e lusinghiero delle prospettive della poesia portoghese del Novecento ma vengono altresì esaminate le potenzialità poetiche di quei paesi che gravitano intorno e che anzi costituiscono il mondo della cultura lusitana del presente.

Paesi come l’Angola, Capo Verde, Timor-Est, Goa, Macao, Guinea-Bissau, Mozambico, le Isole Africane San Tomé e Principe e, naturalmente, il gigantesco sub-continente del Brasile, producono poesia in portoghese (con le necessarie e opportune sfumature locali) allo stesso titolo di quella che una volta era la Madre Patria Portogallo. Scrive Regina Célia Pereira da Silva nel suo “Il mondo di espressione portoghese. Cenni storici, linguistici e letterari”:

«Si parla portoghese, quindi, in una vasta e discontinua area geografica  che compone un sistema filologico-linguistico vivo e che contiene le varianti inerenti ai propri contesti politico-sociali e culturali dei diversi paesi. Questa diversificazione però non compromette l’unità della lingua che conserva un’ apprezzabile coesione tra le proprie varianti. Da quando i portoghesi arrivarono in Africa nel XV secolo sono nate varietà linguistiche locali, risultato del contatto tra i diversi sistemi di lingua indigeni e quello portoghese che hanno generato nuovi sistemi filologici di comunicazione denominati generalmente come creoli. Il percorso temporale di questi ‘dialetti’ li ha configurati in modo tale da essere considerati oggi come vere lingue derivate dal portoghese. Per quanto riguarda l’Oriente, durante il XVI e XVII secolo, la lingua lusitana era utilizzata come lingua franca nei porti commerciali dell’India e del Sud-Est asiatico. Però, attualmente sopravvive soltanto in alcune regioni. Fino al 1999, Macao territorio cinese fu gestito dall’amministrazione portoghese. Ancora oggi alcune famiglie parlano cinese e portoghese. A Goa si parla l’inglese e il konkani, malgrado ancora si senta pronunciare qualche parola di origine lusitana. Il territorio di Timor-Est fu governato dallo Stato portoghese fino al 1975, quando l’Indonesia lo invase e controllò illegalmente. La lingua ufficiale è il portoghese oltre alla lingua ufficiale, il tétum. Durante il Cinquecento si sviluppò il portoghese nel Brasile» (p. 15).

Il portoghese, dunque, non è una lingua – è una concezione del mondo.

Il suo panorama linguistico e culturale, fatto di tante facce pur diversi e non coincidenti che compongono alla fine un caleidoscopio ricco e inquietante, permette di comprendere quello che sta accadendo in una sezione del mondo ampia, importante e ricca di fermenti politici e umani.

Permette, inoltre, di dare spazio a esperienze che altrimenti rimarrebbero confinati in un riquadro apparentemente senza importanza della carta geografica. Ma la poesia, quando è tale, è capace di articolare la sua voce in modo tale da farsi ascoltare anche da luoghi lontani (e inclementi).

L’importanza di questa antologia (anche se non fittissima ma selezionata con cura) è confitta nella sua dimensione geo-letteraria. Risulta capace, quindi, proprio per questo motivo, di illuminare di luce radente un sogno che accomuna i poeti che vogliano comunicare le loro ansie e le loro verità: rendere attraverso una lingua comune un disegno altrettanto comune di storia passata e di scelte future.

Forse in questo consiste esattamente la capacità più profonda della poesia: riavvicinare ciò che è lontano salvandone la diversità interna e non sopprimibile se non a costo di soffocarla senza pietà e senza senso.

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