Quel che sapeva Maisie

Creato il 09 luglio 2014 da Jeanjacques

Nel guardare un film entrano in ballo diversi fattori e argomentazioni. Un bravo autore riesce ad arrivare al cuore del proprio pubblico parlando di qualsiasi genere - mi viene da pensare a quanto mi sconvolse Matheson col suo Io sono leggenda o Pullman con la trilogia fantasy Queste oscure materie - perché non è tanto l'ambientazione di una storia a determinarne la bellezza, quanto il significato che si vuole lanciare con essa. Posso quindi restare affascinato dal discorso naturalista de Il Signore degli Anelli, dalla psicologia intrinseca ne Il mago di Earthsea o dalla metanarrativa di Watchmen. Però, sarà il fatto che sto invecchiando molto precocemente, ultimamente ho voglia di cose che parlino di vite reali o di esperienze che ho fatto in prima persona. Non dico che, come fanno (purtroppo) molti editori che ho avuto modo di incontrare, accetto solo la narrativa non di genere, perché credo che questo sia limitante sia per l'arte stessa che per la mia personale crescita mentale. Il bello, così come il brutto, c'è in ogni dove e in ogni genere. O non-di-genere, per stare in argomento. Ma ripeto, questa è una piccola fase, che però mi ha portato a interessarmi a un film come questa piccola produzione indie che, a suo modo, mi ha colpito.

Maisie è una bambina di sei anni contesa dai genitori divorziati, un mercante d'arte all'apice della propria carriera il padre e una rockstar sulla via del tramonto la madre. Troverà conforto in Margo, giovane nuova sposa del padre, e il Lincoln, toyboy gentile e affabile della madre, i quali...

Il tutto è tratto dal romanzo Ciò che sapeva Maisie dello scrittore Henry James, pubblicato nel 1897, quindi questo film è da intendersi come una modernizzazione dell'opera. La qual cosa pone sotto una nuova luce quel particolare libro, perché se i temi che affronta [con le dovute eccezioni poetiche e storiografiche] sono ancora attuali, vuol dire che certe opere sono davvero destinate a segnare il tempo. Certo, viene lasciato da parte il terribile dualismo col bambino morto di mrs Wix, tutto è su dei toni più melanconici e leggeri, ma non me la sento di bocciare questo film. Che è un film imperfetto, vero, una pellicola che si potrebbe anche rimaneggiare per far funzionare meglio alcune sequenze, ma non è comunque da buttar via. Perché ha i suoi momenti e li sfrutta appieno, ma è anche vero che non tutto funziona come dovrebbe. Gli sceneggiatori Nacy Doyle e Carrol Cartwright creano qualcosa di semplice e lineare, forse troppo, che non ha un vero e proprio sviluppo ed è fiaccato da dei personaggi unidirezionali. Ci sono i genitori di Maisie, adulti bloccati nelle loro vite che, anziché pensare alla propria bambina, preferiscono farsi la guerra fra loro. Ogni cosa che fanno, ogni elargizione di permessi che concederanno alla piccola sarà per incattivirsela e fare così un dispetto al proprio ex consorte. Perché se lui sposa quella che era la loro vecchia tata, allora la mamma deve mettersi con un ragazzo ancora più giovane perché così si può giocare al rialzo. Tutto questo è estremizzato, perché la vicenda si pone nelle sfere alte della società, con tutta la sospensione dell'incredulità che una cosa simile può lasciare, però nella mia vita ho visto molte persone fare cose simili quando ci si è messo di mezzo il divorzio. E sia chiaro che non condanno le coppie divorziate (pure i miei genitori lo sono) ma è vero che quando ci si mette di mezzo una separazione non si riesce a vedere con obiettività la cosa. Non appare semplicemente come una fine, termine che pone molte sfumature, ma una sconfitta, e sono due cose alle quali si reagisce in maniera diversa e sta sempre a noi decidere come comportarci in merito. Questa quindi è l'umanità che si pone davanti agli occhi della piccola Maisie, un mondo fatto di adulti menefreghisti, che a conti fatti hanno tutto quello che una persona normale vorrebbe, sia nel lavoro che negli affetti, ma gettano tutto alle ortiche per questo stupido orgoglio. La macchina da presa ci offre quindi uno sguardo semplice ma comunque disincantato, mette i genitori sotto una luce di certo non positivissima ma, cosa che apprezzo sempre, non giudica. Perché per quanto quei due adulti possano essere criticabili ed egoisti rimangono sempre delle persone disperate, individui che hanno perso se stessi per primi e che, forse proprio a causa del privilegio in cui hanno vissuto, non sanno dare la giusta importanza alle cose. Si finisce per raccontare tutto e nulla, ma per quanto fondamentale la figura di Lincoln a certi tratti è davvero indigesta. Un bravo ragazzo, semplice, con un lavoro umile (no ma, scusatemi, come fa una rockstar a mettersi con un barista?) e che sa cosa fare. Forse un individuo che appare troppo perfetto, che sa anche quando mandare a fanculo la compagna [mizzica, ma quanto è gnocca la Moore?], e così mi è venuta a preferire la più debole e sottomessa Margo, che come tutti non sempre ha il perfetto controllo della situazione e che mi è apparsa quindi più umana. Perché è questo che siamo: umani. E stranamente, non possiamo fare a meno gli uni degli altri.

Sarà quindi per la sua veste indie, sarà perché gli attori sono tutti bravi o sarà perché finisce con quella bellissima canzone che è Feeling of being, ma nonostante i suoi millemila difetti questo film ha delicatezza e nessuna voglia di  porre un giudizio. Il che per me è quasi sempre un bene.Voto: 

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