Quel che sfugge della PEC

Da Andreachiarelli

Un post di Andrea Rui sul perché è meglio evitare la PEC ed uno scambio di battute su LinkedIn mi riporta a riaffrontare l’argomento dopo aver esposto in passato a più riprese il mio punto di vista. Sia chiaro, non è che la PEC mi sia così simpatica, ma le obiezioni riportate dal post ed emerse dalla discussione mi fanno pensare che c’è qualcosa dell’obiettivo della Posta Elettronica Certificata che continua a sfuggire.

Allo stato attuale, la PEC vuole essere un meccanismo che certifichi l’effettivo invio e consegna di un messaggio di posta elettronica. Punto.

Buona parte delle obiezioni alla PEC sostengono che non sia necessaria dal momento che esistono da tempo i certificati S/MIME che garantiscono l’autenticazione del mittente e l’integrità del messaggio.
Bene. Ma la PEC non si pone questi obiettivi. La PEC vuole solo certificare data e ora di invio e ricezione. Può la tecnologia S/MIME da sola garantire questo? E’ una domanda che mi sono posto da tempo, ma a cui non ho saputo dare risposta e non ho trovato qualcuno che mi rispondesse in maniera esauriente.

Oltre a questo, si obietta al fatto che i messaggi inviati o ricevuti dovendo  essere conservati per legge per almeno cinque anni, costringono l’utente sia a dipendere dal provider sia a richiedere un aumento di spazio disco se nel frattempo quello standard messo a disposizione della casella di posta si esaurisce.
Sinceramente non mi risulta che i messaggi debbano rimanere obbligatoriamente sul server del fornitore. Ciascuno è libero di scaricarsi i messaggi, compresi i dati di trasmissione, ed archiviarli come meglio crede. La PEC non ha pretese di archiviazione documentale.

Insomma, probabilmente da un punto di vista tecnico si sarebbe potuto fare di meglio per garantire certezza dell’avvenuto invio e ricezione di un messaggio, ma è bene che le obiezioni non perdano di vista il vero obiettivo della PEC.


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