Quel confine tra cielo e terra... perché il cielo comincia "rasoterra" ad ogni latitudine

Creato il 21 febbraio 2012 da Marianna06

 

“VI ANNUNCIAMO LA VITA ETERNA” (1 GV 1,2)
 Nostalgia di eternità
1.  Riduzione del reale alla sola dimensione terrena
Secolarizzazione, come secolarismo, derivano dalla parola “saeculum” che nel linguaggio comune ha finito per indicare il tempo presente (“l’eone attuale”, secondo la Bibbia), in opposizione all’eternità (l’eone futuro, o “i secoli dei secoli”, della Bibbia). In questo senso, secolarismo è un sinonimo di temporalismo, di riduzione del reale alla sola dimensione terrena.
La caduta dell’orizzonte dell’eternità ha sulla la fede cristiana l’effetto che ha la sabbia gettata su una fiamma: la soffoca, la spegne. La fede nella vita eterna costituisce una delle condizioni di possibilità dell’evangelizzazione. “Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita –esclama san Paolo – siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,19).
2. L’idea di eternità
La piena rivelazione della vita eterna si ha, nel mondo biblico, con la venuta di Cristo. Gesù non fonda la certezza della vita eterna sulla natura dell’uomo (l’immortalità dell’anima), ma sulla “potenza di Dio”, che è un “Dio dei vivi e non dei morti” (Lc 20,27-38). Dopo la Pasqua, a questo fondamento teologico, gli apostoli aggiungeranno quello cristologico: la risurrezione di Cristo da morte. Su di essa l’Apostolo fonda la fede nella risurrezione della carne e nella vita eterna: “Se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dai morti?...Ora Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15, 12.20).
3. Oblio e silenzio
 Nelle società opulente, il materialismo e il consumismo fanno apparire sconveniente che si parli ancora di eternità fra persone colte e al passo con i tempi. Tutto questo ha avuto un chiaro contraccolpo sulla fede dei credenti che si è fatta, su questo punto, timida e reticente.

“L'aldilà è diventato uno scherzo, un'esigenza così incerta che non solo nessuno più la rispetta, ma anzi neppure più la prospetta, al punto che ci si diverte perfino al pensiero che c'era un tempo in cui quest'idea trasformava l'intera esistenza” (Kierkegaard).

4. Carpe diem
Qual è la conseguenza pratica di questa eclisse dell'idea di eternità? San Paolo riferisce il proposito di coloro che non credono nella risurrezione da morte: “Mangiamo, beviamo, domani moriremo” (l Cor 15,32). Il desiderio naturale di vivere sempre , distorto, diventa desiderio, o frenesia, di vivere bene , cioè piacevolmente, anche a spese degli altri, se necessario.


5. Nostalgia di eternità
A un amico che gli rimproverava, quasi fosse una forma di orgoglio e di presunzione, il suo anelito all'eternità, Miguel de Unamuno, che non era certo un apologeta della fede, rispose in una lettera:
“Non dico che meritiamo un aldilà, né che la logica ce lo dimostri; dico che ne abbiamo bisogno, lo meritiamo o no, e basta. Dico che ciò che passa non mi soddisfa, che ho sete d'eternità, e che senza questa tutto mi è indifferente. Ne ho bisogno, ne ho bisogno! Senza di essa non c'è più gioia di vivere e la gioia di vivere non ha più nulla da dirmi. E troppo facile affermare: ‘Bisogna vivere, bisogna accontentarsi della vita’. E quelli che non se ne accontentano?”.

6. La risposta cristiana
Agli uomini del nostro tempo che coltivano in fondo al cuore questo bisogno di eternità, senza forse avere il coraggio di confessarlo agli altri e neppure a se stessi, noi possiamo ripetere ciò che Paolo diceva agli ateniesi: “Ciò che voi cercate senza conoscerlo, io ve lo annuncio” (cf. Atti 17,23).
L'unica risposta valida a questo problema è quella che si fonda sulla fede nell'incarnazione di Dio. In Cristo, l'eterno è entrato nel tempo, si è manifestato nella carne; davanti a lui è possibile prendere una decisione per l’eternità. È così che l’evangelista Giovanni parla della vita eterna: “Vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che si manifestò a noi” (1 Gv 1, 2).
7. Eternità: una speranza e una presenza
Per il credente, l’eternità non è solo una speranza, è anche una presenza. Ne facciamo l'esperienza ogni volta che facciamo un vero atto di fede in Cristo, perché chi crede in lui possiede già la vita eterna (cfr. 1Gv 5,13); ogni volta che riceviamo la comunione, perché in essa “ci viene dato il pegno della gloria futura”; ogni volta che ascoltiamo le parole del Vangelo che sono “parole di vita eterna” (cfr. Gv 6,68).
Questa presenza dell'eternità nel tempo si chiama lo Spirito Santo. Egli è definito “ la caparra della nostra eredità “ (Ef 1,14; 2Cor 5,5), e ci è stato donato perché, avendo ricevuto le primizie, noi aneliamo alla pienezza.
8. Chi siamo? Donde veniamo? Dove andiamo?
Ci sono domande che gli uomini non cessano di porsi da che mondo è mondo e gli uomini di oggi non fanno eccezione: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”.
La fede cristiana è l’unica che ha una risposta sicura da dare ai grandi interrogativi della vita terrena.
9. Andremo alla casa del Signore!
Una rinnovata fede nell’eternità non ci serve solo per l’evangelizzazione, cioè per l’annuncio da fare agli altri; ci serve, prima ancora, per imprimere un nuovo slancio al nostro cammino verso la santità. L’affievolirsi dell'idea di eternità agisce anche sui credenti, diminuendo in essi la capacità di affrontare con coraggio la sofferenza e le prove della vita.
Quando smarriamo il peso, la misura di tutto che è l'eternità: le cose e le sofferenze terrene gettano facilmente la nostra anima a terra. Tutto ci sembra troppo pesante, eccessivo.
San Paolo osa scrivere: “Il momentaneo, leggero peso della tribolazione ci procura un peso smisurato ed eterno di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4,17-18). 
   A cura di  Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
 



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