Quel Giuliano detto Giulio da Egina, cacciatore di draghi.
Creato il 17 maggio 2015 da Il Viaggiatore Ignorante
Cosa pensate mai, levando lo sguardo verso l'alto della volta ombrosa dalla quale penzolo? Sapete forse come ci son finita? Mo' ve lo racconto...Tutto iniziò con un certo missionario che veniva da oriente in compagnia di alcuni suoi discepoli. Passò da Roma per meditare sulla tomba di San Paolo. Poi fu chiamato verso settentrione dalla curia milanese. A Novaria c'era già un tale Gaudenzio, che imperversava nelle campagne, al soldo del signor vescovo, cercando di accomodare la fede silvestre, contadina con la nuova Religione di Costantino. Convincendo i pagani a chiedere il battesimo, facendoli insomma Cristiani, questo indigeno saziava il suo afflato mistico e rendeva insieme un gran servigio al suo padrone che, proprio per questo, riceveva dall'imperatore copiosi benefici fiscali.Al senatore-vescovo Audenzio, invece, Ambrogio ed Eusebio avevano caldeggiato un certo Iulius di origini greche, che, appunto, giunse presto da Milano all'Isola in mezzo al lago. Non mi credete? Aspettate, ve lo spiego meglio.Tra la reggenza di Costantino e quella di Teodosio, il Cristianesimo, che era stato duramente combattuto, da setta diventa religione e i benefici riconosciuti a coloro che si dedicano a tempo pieno alla celebrazione dei nuovi culti, ne favorisce la diffusione. Sono i “possessores”, i possidenti terrieri, i primi ad approfittarne, erigendo cappelle accanto alle loro abitazioni e affidando la cura delle anime a “preposti” appositamente scelti.Comincia così la cristianizzazione delle campagne e della valli, anche quelle del Verbano, del Cusio, dell'Ossola e del Novarese. Dove si formavano comunità più vaste, nuovi vescovi venivano eletti e si aggiungevano a quelli già esistenti. Oltre a Novara erano sedi vescovili, in quei secoli lontani, almeno Domodossola (o forse l'antica Vergonte), Orta e Gozzano.La predicazione era affidata a “missionari”, arruolati anche da terre lontane che, di villaggio in villaggio, edificavano chiese, portavano la nuova Religione agli abitanti e soprattutto li legavano al vescovo attraverso il battesimo. Cureggio, Agrate, Quarona, Montorfano, San Remigio, Pieve Vergonte sono solo alcuni dei luoghi in cui subito sorsero battisteri per adempiere all'indispensabile rito.Fautore della conversione dei “Leponti” e degli “Agoni” al cristianesimo, si racconta sia stato uno di questi, originario di Egina, placida isola ellenica del golfo ateniese. Difficile che questo Giulio, da solo, possa aver oltrepassato tutti i passi alpini e costruito tutte le chiese che la tradizione gli attribuisce, ma alcune, molto antiche per fondazione, trovandosi proprio sul percorso che si racconta abbia fatto, potrebbero davvero essere opera sua o di suoi simili. È il caso di Brebbia (V sec.), presso cui il missionario, se davvero veniva da Milano, avrebbe riattaccato il pollice a un falegname che se l'era tranciato di netto. Potrebbe pure essere il caso di Sant'Agata a Novaglio, del XI-XII secolo, ma forse costruita su un'oratorio risalente al V secolo.Il predicatore, dopo essere passato da Roma per pregare sulla tomba di San Paolo, giunge dunque alle terre novaresi, passando forse per la capitale del Ducato. Le leggende raccontano che il suo percorso aveva l'inverosimile forma di una croce. Si ferma poco prima del Lago di Orta, extra-moenia (fuori dalle mura di) Gaudiani (Gozzano), e qui comincia, con tutto il fervore che ha in corpo, a convertire i popolani al Cristianesimo. Se non aveva viaggiato da solo, chi lo accompagnava era per lui come un fratello. È a costui o forse al più preparato del gruppo di cristiani che aveva convertito nel Gozzanese, che il missionario affida il proseguimento dei lavori presso la piccola chiesa che ha cominciato a costruire. Nasce così la leggenda del fratello di Giulio, Giuliano, colui che poi vi sarà sepolto.Potrebbe infatti essere stato un nome proprio, “Iulianus ”, ma anche un epiteto per indicare gli “eredi” o i membri della cerchia cristiana di Giulio da Egina. Del resto, nelle prime “Vitae Sancti Iulii” non compare mai un suo fratello, né il nome Giuliano. Paolo Diacono, addirittura, secoli dopo, citando la presenza di un duca longobardo presso l'Isola di Orta (VI sec.), Minulfo, la chiama “Isola di San Giuliano”.Giulio invece prosegue per il lago. L'eresia ariana sta dilagando e l'Isola è stata fortificata. Chiunque la abiti, che siano uomini o “serpi”, ha gettato le peggiori paure sui barcaioli che, alla richiesta del predicatore di traghettarlo, si rifiutano. Così, scrive l'autore della “Vita”, il futuro santo stende sulle acque il mantello e raggiunge, usandolo come una zattera, lo scoglio in mezzo al lago, per “liberarlo” dalle malvagie presenze.Non si fa fatica – l'han già detto in molti – a riconoscere nei serpenti e nei draghi le fattezze del credo pagano, così come, nel mantello steso, l'abbraccio della Religione che tutti accoglieva benevola.Eppure, ad abitare l'isola è proprio quel “cattolicissimo” senatore Audenzio che aveva richiesto al vescovo milanese la presenza di Giulio sulle sponde del lago. È forse lui il rettile da ammansire? Con quale mano, vien da chiedersi, costui regge i suoi possedimenti, se tutti lo temono al punto di non volersi avvicinare allo scoglio presso cui dimora?Il missionario, dice la leggenda, riesce nel suo intento e costruisce proprio sull'isola la centesima chiesa, dove si fa seppellire insieme ad Audenzio. Ad occuparsene, prendendone poi il posto come capo della comunità, ci pensa l'ex vescovo di Sion, Elia, giunto tempo prima a rifugiarsi presso il predicatore di Egina, per sfuggire alle persecuzioni ariane.Nel secolo successivo, il nuovo vescovo Filacrio riedifica la chiesa primitiva, erigendo al suo posto un nuovo edificio a croce greca, in cui farsi tumulare a sua volta insieme agli illustri predecessori (553 d.C.).Vent'anni dopo, l'arrivo dei Longobardi guidati da Alboino riporta le serpi e soprattutto i draghi, tanto cari ai conquistatori germanici, devoti al Santo Michele, sull'isola, dove rimarranno fino a Carlo Magno. Poi, la destituzione dei nobili discendenti dei Winnili, dopo il 774, stimola una nuova opera di cristianizzazione operata dai vescovi locali, per compiacere l'imperatore e mantenere il proprio status.Il vescovo vittorioso che ha piegato il “drago” alla sua autorità e l'antico ed eroico missionario, così, convergono creando, la figura del santo evangelizzatore, codificata nella “Vita Sancti Iulii”. A un “San Giulio” da quel momento viene attribuita gran parte delle opere di predicazione e di edificazione di chiese della zona.Quasi novecento anni dopo, i resti di Giulio da Egina vengono ritrovati sotto l'altare della Basilica dell'Isola di Orta. Il loculo è chiuso da una lapide che ne porta il nome, fugando qualsiasi dubbio iniziale.Sfortunatamente, oggi sappiamo che, invece, la tomba ospitava le ossa di Filacrio, confuse con quelle del predicatore di Egina, poiché i resti della sua sepoltura erano stati fatti riutilizzare dallo stesso vescovo per la propria nel VI secolo.Altre ossa erano poi vengono rinvenute alla rinfusa. Si pensa subito che siano di Audenzio e di Elia, così, si decide di metterle tutte insieme, senza neppure distinguere uno dall'altro... Successivamente ricomposte come un unico corpo da esporre alla venerazione dei fedeli, sono quelle che ancora oggi occhieggiano nello scurolo sotto la Basilica.E tra di loro, forse, non ci sono neppure quelle del “giuliano”, Giulio di Egina, che fu fatto santo.Ecco, questa è tutta la storia. Non è certo quella di cui si favoleggia, lo so bene. Ma, del resto, cosa posso saperne io? Sono quelle stesse ossa, quei teschi dalle orbite vuote e quelle mandibole slogate e senza denti ad avermela raccontata, da buoni testimoni, in questi lunghi secoli.Come son finita qui, poi, è presto detto. Tutta colpa di quel chierico furbacchione che, per far soldi sulla faccenda di quel Giulio, non trovò di meglio che barattarmi da un mercante per una falsa indulgenza. Così, il truffaldino portava i pellegrini presso le povere spoglie del missionario e poi, per meglio invogliarli a sganciar denari, li trascinava qui a rimirarmi. L'ingordo, allora, si faceva scuro in volto, sgranava gli occhi e con fare da teatrante si prodigava a narrare, con dovizia di particolari, che io son tutto ciò che resta del mostro dell'isola, scacciato insieme alle serpi dal buon missionario di Egina... menando per drago un pezzo d'osso di balena!-Francesco Teruggi-
BIBLIOGRAFIABattista Beccaria, Le Culture Preromane e Romane del Territorio Novarese, in Novarien 22, 1992Giambattista Beccaria, Sulle origini cristiane novaresi. In margine a quattro conferenze del gruppo di studio sulle culture preromane, romane e barbariche del Novarese, Novarien 25, 1995Giambattista Beccaria, Sulle Origini cristiane novaresi. Nuove acquisizioni. In margine alle conferenze del Gruppo di studio sulle Culture preromane, romane e barbariche del Novarese negli anni 1996 e 1997, in Novarien 27, 1997Giambattista Beccaria, Note in margine al convegno e agli atti su Il cristianesimo a Novara e sul territorio: le origini, Novarien 28, 1998Aa. Vv., VI Centenario della traslazione del corpo di S. Giuliano patrono di Gozzano, tip. S. Mora, 1961Aa. Vv., Gozzano nella memoria di San Giuliano e nella storia degli uomini, tip. Testori e C., 1982Aa. Vv., Una luce che non tramonta sulla rocca di San Giuliano, Parrocchia di Gozzano, 1987
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