Quel grande, meraviglioso errore di Flaubert

Creato il 18 giugno 2012 da Sulromanzo

Per un’edizione londinese di Madame Bovary del 1902, Henry James scrisse un’introduzione al romanzo di Gustave Flaubert nella quale ripercorre con grande efficacia e intensità emotiva la vicenda umana e letteraria del grande scrittore francese.

Henry James conobbe Flaubert ed egli stesso fu un grande scrittore, perciò le sue opinioni giungono da un punto di vista privilegiato, in cui si fondono esperienza diretta e consapevolezza delle difficoltà del lavoro di romanziere. Forse anche per questo leggendo le sue pagine è facile ricevere la sensazione di una testimonianza vissuta prima ancora di un’analisi di critica letteraria.

L’autore sottolinea quanto la storia delle fatiche letterarie di Flaubert coincida con la sua stessa vita. Secondo James, egli non nacque romanziere o scrittore, piuttosto visse da romanziere e scrittore. La sua produzione letteraria, abbastanza limitata da un punto di vista quantitativo, è un distillato di riflessioni, studi, anni di isolamento alla ricerca delle frasi più adatte o della situazione più adeguata per rappresentare lo stato d’animo di un personaggio.

A proposito di Emma Bovary, Henry James sottolinea che questo personaggio riesce in modo straordinario a interessarci alla natura della sua coscienza e al gioco della sua mente, grazie alla realtà e alla bellezza di cui queste cose sono investite. «Esse non rappresentano solo il suo stato; sono così vere, così ben osservate e sentite, e soprattutto così ben mostrate, che rappresentano lo stato, effettivo e potenziale, di tutte le persone come lei, di tutte le persone condizionate dal romanticismo». Eppure il mosaico della psicologia di Emma, come tutta l’opera di Flaubert, è il frutto di un’immensa fatica, spesso origine di rabbiose crisi di nervi.

«Ci sono tante cose strane in lui, ma la più strana è questa; che, se noi dovessimo giudicare dalle difficoltà che egli trovava nel suo lavoro, difficoltà registrate nelle lettere e altrove, non potremmo aspettarci che risultati mediocri. Dovremmo rammaricarci del fatto che quel disgraziato non si sia dedicato a qualcosa che gli potesse risultare facile, almeno relativamente».

Quando James lo incontrò, Flaubert aveva una specie di tana in rue Faubourg Saint-Honoré, a Parigi. Solo la domenica riceveva altri scrittori. Ma il suo isolamento non gli impediva di essere cortese e disponibile al rapporto umano. È facile pensare al grande scrittore che rinuncia alla vita vissuta ma non per fuggirla, semmai per descriverla o forse per sopportarla. In una lettera del 1858 affermerà che il solo modo di sopportare l’esistenza è quello di stordirsi nella letteratura come in un’orgia perpetua. L’orgia perpetua sarà proprio il titolo di un famoso saggio di Mario Vargas Llosa su Madame Bovary.

Dunque non una fuga vera e propria, ma la malattia di sentirsi lontani dal mondo e avere come unico desiderio quello di aggiustare la distanza per osservarlo meglio e capire ogni sentimento o emozione dell’essere umano su cui la lente del letterato ha deciso di posarsi, per farlo diventare un personaggio.

Ma ragionando in questo modo, e le premesse di questa riflessione ci sono offerte dallo stesso saggio di Henry James, dobbiamo riconoscere a Flaubert la consapevolezza di una grande responsabilità nei confronti dei suoi personaggi. La responsabilità che non giunge tanto dall’ispirazione immediata quanto da un lavoro logorante di studio psicologico. Non solo un’introspezione, per quanto profonda, ma un ritratto umano che non è solo rappresentazione sociale. E tutto per dare vita propria alle sue creature. Siamo di fronte a una specie di magico realismo esistenziale, in cui le emozioni risaltano come materia così viva da lasciar pensare che lo scrittore riesca a scrivere di certi stati d’animo solo dopo aver aperto tutta la sua mente, per lasciare entrare la più grande passione come la più prosaica delle sensazioni. Al momento di lasciar andar via questi moti interiori, con l’ultimo sforzo si prodiga per trattenerli per sempre sulla pagina scritta. Quando questo esperimento della creatività va a buon fine, nasce il capolavoro.

Dobbiamo ammettere che Flaubert si assume anche una grande responsabilità verso il lettore, poiché con tutte le sue forze cerca di presentargli condizioni umane vere, la cui sincera intensità spinge all’immedesimazione. In questo modo lo scrittore dona libertà al lettore, permettendogli di fare dell’esperienza della lettura una potente occasione di comprensione della natura umana.

Grazie a Flaubert la frase pronunciata da Oscar Wilde a proposito di un personaggio di Balzac, «la morte di Lucien de Rubempré è il più grande dramma della mia vita», non sarà più un privilegio di raffinati artisti o letterati ipersensibili. È la mia personale convinzione.

L’analisi di Henry James diventa all’improvviso molto severa quando, a proposito de L’educazione sentimentale, attribuisce a Flaubert un gravissimo errore. Ecco le sue parole:

«È stato un errore morale proporsi di registrare in una coscienza limitata come quella di un siffatto eroe una quantità di vita così vasta e variegata quale L’educazione sentimentale chiaramente contempla».

Henry James si riferisce a Frédéric Moreau, il protagonista. È uno studentello con tante vane idee per la testa. Inconcludente negli studi, intrattiene varie relazioni con amanti parigine. Ha una vita intensa grazie anche all’eredità di uno zio. Alla fine torna nella sua cittadina di provincia e riconosce il fallimento della sua vita. È un mediocre e tuttavia ha una vita piena.

L’errore di Flaubert consisterebbe, secondo James, nell’aver concesso a un individuo così povero di qualità e coscienza una vita così ricca di esperienze, possibilità, occasioni. Se d’altra parte allo scrittore francese si riconosce, come detto sopra, il travaglio profondo nella creazione dei personaggi, l’errore diventa ancora più grave. È appunto uno sbaglio di natura morale, dettato da una coscienza sbagliata, non da distrazione o superficialità.

Adesso però proviamo a pensare che cosa ne sarebbe stato di Frédéric Moreau, se al suo posto, pur mantenendo la sua vita ricca e movimentata, ci fosse stato non uno qualunque ma un grande letterato o un grande uomo d’affari, un artista geniale, un potente uomo politico o un condottiero coraggioso, ma anche un assassino ricercato in mezzo mondo, un abile ladro o uno straordinario benefattore. Che cosa sarebbe successo se al posto di Frédéric ci fosse stato un uomo singolare e straordinario in positivo o negativo? Ebbene, a me sembra chiaro. Frédéric non sarebbe stato uno di noi, non avrebbe potuto rappresentare ciò che siamo o ciò che possiamo rischiare di essere: delle persone normali, spesso tendenti alla mediocrità. Il lettore non avrebbe potuto riconoscersi nel personaggio. In questo caso ci sarebbe stato l’errore morale, contrariamente a ciò che dice Henry James, perché il lettore avrebbe potuto con facilità tener lontano dalla sua coscienza quel fallimento esistenziale di cui Frédéric è autore. Questo sarebbe stato il vero errore morale! Attribuire una vita fallimentare ma piena di opportunità a qualche personaggio lontano dal possibile lettore.

Forse Henry James, fratello di un grande filosofo e teologo, aveva in mente una concezione della moralità molto legata ad un dover essereastratto e destinato ai grandi nomi dell’umanità. Così facendo il lettore non avrebbe potuto sentire il turbamento e la responsabilità di poter diventare o essere come Frédéric. Non avrebbe potuto sentire lo struggente sentimento che lo fa guardare indietro riconoscendo la sua sconfitta.

Se errore c’è stato, e io penso che non lo sia affatto, è stato un meraviglioso errore. Senza di esso Woody Allen, nel film Manhattan mai e poi mai avrebbe elencato L’educazione sentimentale tra le dieci cose per cui, senza dubbio, vale la pena vivere.

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