Poveri Sardi. Che avranno fatto di così male per meritarsi un certo indipendentismo? In fondo volevano solo vivere in pace. Alcuni credettero seriamente che la rinuncia all’antica “autonomia” del Regno di Sardegna avrebbe sviluppato prosperità per la nostra terra. Alcuni cambiarono idea giudicando la faccenda un errore capitale, altri vi aderirono per interesse. Parecchi altri invece morirono sui campi di battaglia per l’Italia. Altri ancora porteranno alla nascita dell’odierno indipendentismo il quale, ammantato com’è di nazionalismo post-romantico, tende a rimuovere la nostra controversa storia per anteporre il mito del Sardo sempre sfruttato e sempre soggiogato da un autonomismo che l’ha spinto verso l’Italia.
Questo neo-nazionalismo Sardo non se ne fa una ragione: non accetta che siano esistiti ed esistano Sardi che credono all’ideale della nazione italiana (per quanto artificiosamente e forzatamente sia nata). Questa fascia di Sardi deve per forza di cose essere o “serva” o “ammaliata” da non meglio precisati spettri sardisto-autonomisti contigui alla galassia del nazionalismo italiano.In ragione di questa ideologia, che si avrebbe addirittura la pretesa di definire “elaborazione culturale”, si è così giunti all’attacco verso il lavoro dello storico Francesco Cesare Casula, il quale ha solo avuto la “colpa” di delineare l’evoluzione dell’antico Regno di Sardegna fino, in età contemporanea, al Regno d’Italia. Metteremo anche noi i suoi libri al rogo sulla falsariga del nazionalsocialismo? E che c’azzeca (come direbbe qualcuno) il fatto che sia stata l’elite piemontese a pilotare gli eventi politici del risorgimento - piuttosto che i sardi - con la realtà oggettiva di migliaia di conterranei che hanno comunque creduto da oltre un secolo in quelle istituzioni?Mesi fa a Bono, con riferimento alle idee di Franciscu Sedda, Alessandro Mongili ha dichiarato:“In realtà si imputa ai sardi di essere colpevoli di una situazione perfettamente normale, cioè di essere consapevoli della situazione ma non della natura della situazione (Sassatelli 2000, 15), di essere presi in una situazione data e di non essere (stati) in grado di superarla. Si imputa a Michelangelo Pira di avere detto che “dopo tutto siamo Italiani”, ma si chiudono gli occhi di fronte al fatto che dopo più di duecento anni noi non possiamo non essere anche italiani, cioè gli si imputa il fatto di avere riconosciuto che la nostra situazione è ambigua nel presente storico. In altre parole, si imputa ai sardi di essere in un presente storico ibrido e ambiguo, e di non radicarsi solamente in un’origine pura e al 100% sarda. Si tratta di una posizione indifendibile perché nega la concretezza dell’esistere a favore di una idealità dell’essere, mai attingibile, mai verificabile, mai descrivibile. Se è vero che ci sono casi estremi, che alcuni generalizzano, in cui “si decide di essere italiani con fredda ragione” (Dettori 2009) è pur sempre vero che le persone concrete devono descrivere la loro vita ricorrendo principalmente a motivazioni ammesse nei discorsi condivisi con gli altri (Sassatelli 2000, 19), cioè nelle narrazioni esistenti e circolanti nel momento in cui si vive.E’ proprio l’ambiguità della nostra identità sarda e italiana in modi disuguali ma coesistenti, insomma è proprio la nostra diversità che non è pensabile e dicibile facilmente, proprio perché non si fonda su posizioni narrative, ma sulla concretezza della nostra storia, di tutta la nostra storia, anche di quella della dipendenza, dell’ibridizzazione con altre culture e con altre identità, e su meccaniche di dominio che hanno teso a ripulire la Sardegna dalle sue diversità, accomunandole in una costruzione identitaria con il segno meno da abbattere.”In verità già Connor qualche decennio prima nei suoi studi sul nazionalismo segnalava quanto la visione della nazione non fosse che un sentimento, basato tuttavia in molti casi su un costrutto territoriale ben distinto (lingua, storia, ecc). Sedda insomma per poter argomentare le sue ragioni politiche è costretto paradossalmente a cercare nel mito una parte della sua architettura ideologica quando ciò, nel liberal-nazionalismo, non è assolutamente necessario.Nel 2005, molto provocatoriamente, contro quell'indipendentismo romantico e di derivazione marxista che (da un lato) ometteva questa realtà pluri-identitaria dei Sardi e (dall'altro) si rivelava per conseguenza incapace di comunicare col suo tessuto sociale, elaborammo una idea politica definita “non-nazionalista” e progressista, ma non riconducibile ai classici canoni della destra o della sinistra. Sul modello di alcuni progetti laburisti di derivazione anglosassone: vedi La cosa triste non è stato sentire i medesimi principi a Cagliari il 13 febbraio ben 5 anni dopo, quanto il fatto che il processo di snazionalizzazione degli elementi endemici al nostro territorio, segnalato da vari osservatori (come i membri del Comitadu pro sa Limba Sarda), non solo non si è arrestato, ma è stato accompagnato proprio da una politica indipendentista la cui “elaborazione culturale” non aveva ponderatamente valutato gli esiti di un eccessiva idealizzazione del proprio contesto abitato. Si è così giunti al paradosso di negare non solo la realtà: ovvero l'esistenza di tutti quei Sardi che hanno creduto e credono all'Italia (attaccando chi ne ha argomentato la “genesi istituzionale” come F.C. Casula), ma si è persino arrivati a re-inventare il concetto stesso di nazionalismo Sardo che in realtà lascia ben poco sul terreno dell'idea di nazione Sarda e paventa una generica società progressista, per di più coltivata sulla base di indirizzi e canoni linguistici italiani. La sintesi è che in Sardegna oggi non abbiamo più solo una popolazione munita di una identità ibrida, ma abbiamo anche un indipendentismo ibrido, esattamente l'opposto di cui abbiamo bisogno per invertire, a seguito di un processo riformista, quel baratro sociale entro il quale si stanno incamminando gli elementi stessi di ciò che hanno contraddistinto la possibilità di parlare di nazione sarda.(*) U.R.N. Sardinnya.