Quel Poco Che Ho Capito di Auroville

Creato il 12 marzo 2014 da Angelozinna

Pochi giorni fa ho cercato di introdurre Auroville in maniera da dare un’immagine di questo luogo che sia oggettiva, senza dare troppo peso alle opinioni personali che su un esperimento del genere non possono non formarsi. Se non avete letto l’introduzione ad Auroville, potete farlo qui. Quello di oggi invece è la mia, brevissima, esperienza da visitatore in questo singolare villaggio.

La prima volta che ho sentito parlare di Auroville non avevo ben chiaro cosa aspettarmi. È impossibile avere ben chiaro cosa aspettarsi da questa comunità internazionale che ha deciso di stabilirsi sulle coste del Tamil Nadu per servire quella che chiamano la Coscienza Divina. Cosa vuol dire? Capelloni che sono venuti in India perché il charas costa poco? Visionari che stanno costruendo un progetto utopico che purtroppo non può che rimanere tale? O gente che semplicemente si è rotta le palle dell’occidente e se devono costruirsi una nuova casa allora tanto vale renderla il più vivibile possibile?

Io nell’India meridionale non dovevo neanche venirci. È stato un cambio di piani, un allungamento dell’itinerario in una finestra di qualche settimana che si è aperta. Quando ho deciso di scendere, impreparato e disorganizzato come sempre, sapevo soltanto che una visita ad Auroville la volevo fare. Dargli un’occhiata, capire di cosa si tratta, nel poco tempo a disposizione.

Ho passato quattro giorni nella comunità e posso dire, intanto, che quattro giorni non valgono il viaggio. Sono pochi. Per vedere Auroville basta mezza giornata, per capirla non bastano settimane. Sviluppata su un area di circa venti chilometri quadrati, Auroville cresce all’interno di un anello formato dalla densa foresta nata dal programma di riforestazione della comunità, ed è divisa in distretti costruiti attorno al centro geografico della città, occupato a sua volta dal Matrimandir e poco distante dal centro visitatori. Una strada principale ed asfaltata taglia la città, e da questa partono numerose vie sterrate che portano alle fattorie, alle aree residenziali, o alle varie strutture erette per lo sviluppo dei progetti che ad Auroville si seguono. I visitatori possono occupare il proprio tempo esplorando queste strade in motorino, partecipando ai corsi organizzati dagli abitanti e mangiando in ristoranti che un indiano non potrebbe mai permettersi.

La prima impressione di Auroville è che agli aurovilliani i turisti non piacciano molto. È facile capire perché, i più arrivano per un solo giorno da Pondicherry per scattare qualche foto e poi tornare indietro senza capire quale sia il messaggio di questo luogo, ma al contempo è difficile trovare un contatto con chi questo luogo lo abita nella speranza di capirci qualcosa in più. Come in ogni città, gli abitanti sono sempre impegnati nel loro quotidiano e cercare l’interazione in tempi brevi è difficile, ma al contempo Auroville, per essere una comunità le cui fondamenta sono basate sull’apertura nei confronti di ogni idea e persona e sull’educazione continua, rimane invasa da un alone di mistero, da una parte che sai che esiste ma a cui non ti è consentito l’accesso, perché tanto non capiresti. Intendiamoci, nessuno vorrebbe vedere un’orda di visitatori arrivare in casa propria a fare domande, ma al contempo proprio le risposte a queste domande potrebbero spingere qualcuno a scegliere di vivere in modo diverso, migliore. La domanda chiave, “Come si vive ad Auroville?”, purtroppo, non otterrà risposta in una visita breve.

Al centro visitatori mi viene consigliato di andare a mangiare alla Solar Kitchen, una cucina comunitaria mandata avanti quasi esclusivamente ad energia solare. Questo si dice sia un buon luogo d’incontro, molto popolare tra gli abitanti del posto, e al contempo un modo per supportare Auroville. Alla Solar Kitchen viene servito un thali da 150 rupie che fuori da Auroville ne costerebbe 50. La fila per essere serviti sembra essere composta per la maggior parte da altri turisti e mi chiedo come sia possibile in una comunità che vive quasi senza soldi potersi permettere pasti al doppio del prezzo.

In generale Auroville è un posto caro da visitare rispetto al resto dell’India. Per un’occidentale, certo, i costi rimangono minimi, si mangia con 3 dollari, ma pensando a chi qui sceglie di fermarsi a lungo termine viene qualche dubbio su come sia possibile senza lavorare. Per diventare aurovilliani infatti bisogna passare da un anno di prova, in cui si dedicano almeno tre mesi a lavorare come volontari. In questo periodo è vietato lasciare l’India e si deve dimostrare di essere pronti a lasciarsi alle spalle la propria vita per Auroville. Una volta divenuti aurovilliani, non esistono diritti di proprietà. Se, ad esempio, si decide di costruire una casa, come hanno fatto molti abitanti, questa non si potrà rivendere e se qualcosa va storto sta al singolo avere una forma di protezione, che si tratti di risparmi oppure una casa di proprietà all’estero. Questo sistema vuole eradicare tutti gli aspetti negativi della ricchezza materiale, come l’avarizia o l’invidia, per permettere a tutti di vivere serenamente con il minimo indispensabile, ma viene da chiedersi se l’apertura nei confronti di tutti i popoli che Auroville propone sia nel concreto possibile. Per poter vivere ad Auroville, almeno nel primo anno, servono molti soldi. Questo chiude la possibilità a buona parte della popolazione mondiale di partecipare, rendendo Auroville esclusiva a pochi, spesso provenienti da realtà simili anche se da paesi differenti.

Oggi la popolazione di Auroville è composta per un terzo da indiani, e per due terzi da stranieri. Di questi la maggior parte sono francesi, tedeschi, inglesi ed italiani, con gruppi più piccoli provenienti da quasi cinquanta paesi. Durante la mia visita ho notato come la maggior parte degli abitanti siano persone di mezza età. Di rado si incontra un vent’enne che vive qui in modo permanente. Auroville sembra essere una scelta difficile per chi ha ancora una vita intera davanti e chiudere tutte le altre porte è un rischio che pochi giovani vogliono correre. Crescendo magari si giunge alla conclusione che le cose che contano in realtà sono poche, e così Auroville può rappresentare le proprie necessità, ma forse una crisi di mezza età è un passaggio obbligato per poter fare una svolta così drastica.

B. è la nostra guida al Matrimandir. Il Matrimandir è il simbolo di Auroville, una enorme palla da golf dorata che sembra essere uscita da guerre stellari. Non è un monumento o un’attrazione e non a tutti e concessa la visita al suo interno. Per poter entrare nel Matrimandir è necessario fermarsi ad Auroville più di un solo giorno, prendendo appuntamento in anticipo, e bisogna guardare un video che ne spiega la storia e la funzione. Questa ho trovato sia un’ottima iniziativa, un deterrente per chi vuole solo la foto souvenir e la sicurezza che il significato del luogo sia in qualche modo assorbito. Più monumenti dovrebbero fare una cosa del genere. L’ingresso al Matrimandir è gratuito, così come è la guida, ma chi si ferma ad Auroville paga 100 rupie al giorno, incluse nel prezzo della guesthouse, di contributo. B. ha un nome di una sola lattera, ed è un americano che vive ad Auroville da trent’anni. Appare come una persona felice, anche se più volte le sue parole mostrano una preoccupazione per gli effetti del turismo che sta raggiungendo Auroville. All’interno del Matrimandir una sala circolare in marmo bianco è il principale luogo di meditazione frequentato dai residenti. Al suo centro una sfera di cristallo dal diametro di settanta centimetri raccoglie un raggio di sole riflesso da uno specchio sul tetto. Un’atmosfera surreale avvolge il Matrimandir insieme ad un silenzio che in India è sconosciuto.

B. ci spiega che tutte le attività di Auroville sono no-profit. Una volta coperti i costi, tutti i profitti vanno alla Fondazione, che a sua volta li utilizza per far crescere la comunità in modo equo. Per facilitare questo processo ad Auroville è stato istituito un sistema di carte ricaribili per pagare presso negozi e ristoranti, anche se i soldi sono accettati quasi ovunque. La carta si ricarica all’ufficio finanziario di Auroville e si può usare quasi ovunque. Per i visitatori questo ha senso solo per mangiare alla Solar Kitchen, dove i soldi non sono accettati, ma per poco altro. Per i residenti invece è un modo per eliminare la valuta reale ed i problemi che essa comporta. I residenti di Auroville che lavorano in modo volontario presso le organizzazioni della città ricevono su queste carte un piccolo contributo mensile, uguale per tutti e diretto a coprire eventuali spese accessorie dato che Auroville non è ancora completamente auto-sufficiente. Le cure mediche al piccolo ospedale della città sono gratuite per tutti i residenti.

In conclusione, Auroville sta ancora inseguendo un’utopia. Nel suo piccolo sembra funzionare, sembra avere le idee chiare, ma i dubbi che compaiono non riguardano tanto l’entità del progetto, ma più se noi, esseri umani, siamo pronti a trarne beneficio. Le critiche ad Auroville arrivano tanto spesso quanto il supporto ed è facile non essere convinti di cosa sta accadendo. Bisogna però ricordare che Auroville, nonostante esista da oltre quarant’anni, è alla sua prima fase e sia gli errori che i compromessi sono necessari perché possa crescere. L’ingresso a Auroville è un processo difficile a giusta ragione, ma la speranza è che l’orgoglio (tipico della proprietà) degli aurovilliani non renda la missione ancora più complicata per chi accetta i suoi principi. Le mie rimangono considerazioni superficiali che in una visita breve non ho potuto approfondire, ma per chi volesse provare con la propria pelle cosa significa vivere ad Auroville, almeno due settimane sono richieste per poter partecipare ai progetti di volontariato nelle fattorie e muovere i primi passi nella comunità.


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