Quel toro rinchiuso nella … parasta

Creato il 09 novembre 2011 da Cultura Salentina

di Paolo Marzano

Fig. 1 - Parte (sinistra) del secondo livello della facciata di S. Domenico a Nardò

Abbiamo già affrontato, con la dovuta cautela e seguito con particolare interesse, la probabile lenta ‘costruzione’ di quell’affascinante soluzione plastico-volumetrica che viene definita come  la ‘colonna inglobata’. Il Riccardi l’adotta nei quattro sostegni del Sedile, nell’angolo al lato destro della facciata di S. Croce a Lecce ed è usata sulla facciata della cattedrale di Squinzano. Una possibile variante, dell’episodio plastico originalissimo può ritrovarsi, sapendolo leggere, nell’esterno dell’abside di Minervino. Lo stesso tamburo della cupola di S. Croce è trattato in questo modo e non ultima, la più gentile e raffinata soluzione dell’abside esterno della chiesa di S. Nicola Vescovo, a Cursi (antica chiesa greca). Queste, dunque, sono le ‘eventuali’ possibili declinazioni della “colonna inglobata”. Le origini artigianali e le varianti tipologiche sono state contestualizzate e storicamente, inserite in quella che ho definito, come prassi concettualmente appartenente ad una “filologia antiquaria”, di cui la nostra terra si è dimostrata attenta e colta collezionista. Ritengo perciò possibile una lettura, non geometrica, ma ‘plateresca’ (termine tradotto – “alla maniera degli orafi”) della soluzione, proprio osservando uno dei grandi ovuli, in particolare  l’attacco ‘plastico’ della colonna, al pilastro che la contiene. Infatti, solo una perfetta gestione della materia lapidea, unita ad una fervida e passionale creatività poteva forgiare una raffinata, organica, forse ‘carnale’, struttura di questo tipo). Naturale l’idea che, il ‘risvolto’ dell’angolo “a colonna inglobata”, della facciata di S.Croce,  avrebbe suggerito funzionalmente, i quattro appoggi angolari, quasi delle ‘paraste binate ripiegate’ che formano un pilastro ‘trasparente’, del ‘ciborio’ in stile catalano/veneziano del Sedile in piazza S. Oronzo a Lecce.

Fig. 2 - A sinistra il particolare “geometrico” del tamburo della cupola di S. Croce a Lecce

Fig. 2 - A destra il particolare, ritengo “palateresco – tradotto alla maniera degli orafi”, trattato come il particolare di un’armatura o l’articolazione di una scultura umana, della colonna inglobata posta in angolo, rispetto alla facciata.

A maggior ragione ritengo di notevole importanza anche lo studio del rapporto tra quadri programmatici ideologici ed i loro progetti iconografici, rispettosi degli ‘ordinamenti dati’ dalla Chiesa per i suoi templi. Era una questione ‘persuasiva/pervasiva’ che si muoveva tra il rispetto di un ‘ordine’ stabilito centralmente e l’adeguamento ‘modificabile’ a seconda delle circostanze locali da adattare alle tradizionali del posto. Da qui, la tendenza artistica, legata saldamente all’artigianalità delle opere, assimilate da tanti ‘modelli di viaggio’ e assorbiti dall’ottima manualità locale. Non dimentichiamo però che ci sono altri fattori, per nulla secondari, capaci di dinamizzare, se non reinventare o addirittura creare, ambiti di discussione e rinnovamento dei linguaggi espressivi artistici. Torno a ricordare che, ad esempio, Ambrogio Salvio, è vescovo, domenicano a Nardò, proprio a cavallo della Battaglia di Lepanto. Dal 1569 al 1577 la sua figura giganteggia nel Salento. Il personaggio è organizzatore a Otranto, del sinodo che cercherà di far recepire , nelle indie italiane, quelle regole conseguenti al complesso Concilio di Trento. Amico del Papa Pio V, il Salvio inizia la ‘limitazione’ del rito greco e, molto probabilmente, secondo i dettami dell’ordine monastico a cui apparteneva, “inglobandone” e ri-simbolizzandone significati, termini scultorei ed architettonici. Rinnova oltreché culturalmente anche urbanisticamente gli ambiti domenicani di Galatone, Muro Leccese e, a Nardò, compie una vera e propria importante innovazione nella diocesi. Prima di Nardò, il Salvio è a Roma durante il sacco (1527) e, per comprendere la grande passione e l’intellettuale caratura dell’uomo, preserva dal saccheggio, numerosi arredi sacri e oggetti preziosi della chiesa gotica domenicana della Minerva, partecipa all’Inquisizione di Como col Ghislieri, futuro Papa, poi è a Napoli come priore presso S. Pietro Martire dove si dedica a creare forme di arredo religioso.

Quindi, la presenza d’illustri personaggi alternatisi alla guida delle istituzioni civili o religiose, nella storia del Salento, hanno aggiunto proprie esperienze e passioni, nuovi sistemi e metodi di organizzazione a volte fondamentali per la completezza del paesaggio culturale e artistico della nostra zona. A tutto questo sommiamo, l’incessante passaggio, per queste terre, di flussi commerciali (ricordo che la Repubblica veneziana, ‘approdava’ comodamente nella maggior parte dei territori, dalle Fiandre al bacino del mediterraneo: Tunisi, Tripoli, Malta, Corfù, Alessandria, Cipro, e da Costantinopoli nel Mar Nero), quindi, la presenza di una forte comunità a Lecce, era fisiologica per la presenza di popoli e oggetti ‘nomadi’ che, nel tempo e grazie alle rotte commerciali, si spostavano per terra e per mare ed, a maggior ragione, dopo la battaglia di Lepanto (1571) uomini, mezzi, razze, merci, stoffe, cibi, spezie, armi, attrezzi, collegavano feudi e corti, che a loro volta attiravano artisti e costruttori, ma soprattutto la presenza dei vari ordini monastici e l’organizzazione dei diversi monasteri e chiese, polarizzavano una quantità considerevole di necessari  arredi religiosi, quindi, cibori, tabernacoli, evangelari, reliquiari, cenotafi, retablos, piviali, pastorali e arredi sacri (altare, arca, pulpito, paliotto, candelieri, calici, leggii, colonne candelabre), oppure miniature per corali, polittici, cammei di avorio o alabastro, augustales. Tali ‘oggetti’ venivano costantemente, come un immenso catalogo, sottoposti, dagli artisti locali, ad una glittica fantasiosa e flessibile, sovente re-interpretata e ri-adeguata ai bisogni. Essa cristallizzava, l’operosità e l’uso della tecnica nel tempo, mutando continuamente l’oggetto d’arte. Ecco perché, per esempio, un tabernacolo poteva assolvere a modello per la facciata di un tempio (e viceversa). Ma soprattutto non possiamo sottovalutare lo spostamento della ‘trattatistica’. Documenti e manuali, infatti, con apparati teorici architettonici e descrizioni dettagliate di modelli già consolidati e culturalmente definiti, distribuivano idee e guidavano a nuovi significati. Processi costruttivi, schemi iconografici ben organizzati, includevano le possibili trasformazioni e le varianti da decidere in loco. E’ fondamentale ricordare ad esempio che per una parte della facciata di S. Croce a Lecce, in particolare, la sontuosa, spettacolare, scenografica, balconata, sostenuta dai telamoni, si sia fatto riferimento alla manualistica di Cesare Cesariano (in particolare, il suo testo nel 1521 con disegni e schemi) del porticus persica, esattamente applicando però la variante “E”, rispetto alle “M” o “N”, mentre la variante “F”, diventa modello di partizione con ‘cariatidi’, comune ai ‘cenotafi’ salentini. Questa indicazione, è da considerare fondante, per quel messaggio di eleganza scultorea, ma soprattutto a conferma dell’aggiornamento artistico e la colta competenza, sia dell’artista, sia dei suoi committenti. La cultura, la creatività e la tecnologia cantieristica del tempo, testimoniano l’alto livello dei ‘mastri costruttori’ e, ancor meglio, il progetto del messaggio che l’opera doveva comunicare secondo i committenti.

Procedendo dal particolare, al discorso generale d’altronde, non è forse un’interessante esercitazione intellettuale (certo non speculativa, ma didattica) quella d’immaginare l’episodio della “colonna inglobata”, come un prodotto architettonico/antiquario, magari riflettendo sulla domanda:

cosa succede quando i bastoncini che partono dall’imoscapo, non si fermano al terzo medio della colonna rudentata, ma raggiungono il sommoscapo colmando l’incavo longitudinale della scanalatura? Il particolare costruttivo che ne consegue, determina effettivamente un ‘episodio’ architettonico/antiquario, certamente ‘assonante’ alla cosiddetta “colonna inglobata” riccardesca, ma solo ‘assonate’, in quanto l’operosità ‘orafa’,poi,  faceva il resto.

(Scanalatura – incavo operato in senso longitudinale sul fusto della colonna. Imoscapo - parte inferiore del fusto della colonna. Sommoscapo – parte superiore del fusto di una colonna. Bastoncino - elemento convesso di riempimento delle scanalature deriva dall’indicare le aste delle lance (ritengo però valida anche l’idea di fluidi che riempiono le scanalature degli altari ‘memori’ dei fluidi sacrificali per il cui fine, l’architettura dei templi, nasce). Colonna rudentata – con scanalature riempite fino a un terzo di altezza dalla base, da una modanatura a bastoncino.)

Fig. 3 - Le diverse varianti decorative “assonanti” alla possibile soluzione della “colonna inglobata”

Fig. 3 - A – particolare scanalatura delle colonne del portale d’ingresso al Casello di Copertino (Le). B – Scanalature nelle colonne binate della facciata si S.Croce a Lecce. C - Decorazione del Casello di Copertino (Le). D – Decorazione laterale del portale d’ingresso del S. Domenico di Nardò. E -Motivo strutturale/decorativo dell’abside del duomo di Minervino. F – Decorazione a “foglie doriche” romana del Tempio Dorico nel Foro Triangolare di Pompei. G – Motivo strutturale decorativo del tamburo della cupola di S. Croce a Lecce. H - Decorazione superiore del portale d’ingresso del S. Domenico di Nardò. I - Decorazione del capitello del Palazzo di Città, ex Pretura, in piazza Salandra a Nardò.

La riflessione, ora, passa ad un altro episodio che deve farci tornare sull’argomento “portante” di questo scritto quale la “colonna inglobata”. Dal Riccardi, ci spostiamo, portandoci alle opere del Tarantino a Nardò. Dice il Manieri Elia descrivendo appunto le paraste binate realizzate dal costruttore neretino, su diverse chiese: “… sono costituite da una parte convessa, bordata sugli spigoli da robuste cornici. E’ un motivo che nel nostro libro del ’71 riferivano con cautela ai pilastri riccardiani ‘che inglobano la colonna’; e ciò, osservando che la sezione orizzontale di una lesena ‘tarantiniana’ corrisponde esattamente alla sezione del pilastro ‘riccardiano’ se eseguita al centro di un ovale”.

Fig. 4 - A sinistra e al centro la soluzione a “colonna inglobata” (S. Croce e Sedile - Lecce). A destra il “toro” rinchiuso nella parasta, Tarantiniano (chiesa della Madonna Incoronata a Nardò)

Fig. 4 - Proprio a proposito del trattamento interno di queste paraste, frequentemente binate e spesso angolari, collaboranti ‘contrafforti’, nelle chiese a ‘scatola’ o a ‘scrigno’, del costruttore neretino Tarantino, la parte convessa diventa evidente, forse abbastanza visibile. Inserita (rinchiusa) e limitata dalle spesse bordature, infatti, l’estroflessione acquistando consistenza; sostengo, dunque, si possa  assumere come un originale e decontestualizzante, soluzione costruttiva ‘derivata’ da un lessico ben conosciuto. Un atto ‘inventivo’ ascrivibile prettamente alla pratica artigianale, secondo me, conseguente anche dalla dismissione della funzionalità delle fortezze salentine che, dopo Lepanto, perdono quella componente ‘principalmente militare’ diventando corpi di marginale rilevanza urbana. Invece, per chi riesce ad osservarli bene, (come i costruttori illuminati dall’esperienza e in cerca sempre di idee) stimolano la creatività e l’inventiva. Fungono da ‘modelli’ da cui ‘ap-prendere’ dei particolari da riproporre nelle nuove costruzioni, tra cui certamente, quella percepibile consistenza volumetrica ‘estroflessa’, la cui sostanza compositiva, interpreto come un “toro” rinchiuso in una parasta. Il toro è una cornice a sviluppo semicircolare che troviamo applicata in tutti i castelli specialmente in quelli salentini. Essa viaggia intorno alle strutture definendone la partizione tra il muro di cortina e il muro di scarpa.

Fig. 5 - Fuga del “toro” in alcuni castelli salentini

Fig. 5 - Il toro, dunque, ‘cinge’ (termine appropriato) le costruzioni svelando il suo ‘senso’, nella similitudine con le grosse funi o le corde marine, con cui secondo l’Harsey, i fabbricati venivano issati. Allora il toro segue questa tradizione circondando prima le fortezze e poi gli edifici signorili diventandone un‘eco e, nello stesso tempo, un’appropriata decorazione. La pesantezza del manufatto che sulle fortezze comunicava forza e potenza, doveva, col tempo, ingentilirsi specialmente quando si trasformava in un motivo di ricercata geometria e sottile linearismo sulle facciate dei palazzi nobiliari. Da tonda bordatura (vedere anche portali ‘durazzeschi’) a “colonna iglobata” od a “toro rinchiuso in una parasta”. A questo punto, diventa un po’ più chiaro il funzionamento della storia dell’architettura e dell’arte, trattando proprio quell’argomento della trasformazione di scala e del gioco dimensionale dei suoi modelli, di grandezza variabile, capaci di far recepire diversamente il paesaggio artistico, visibile intorno a noi. Alcune mura dei nostri castelli, evidenziano proprio quelle diverse variazioni direzionali che assume la lunga fuga del “toro”.

Fig. 6 - “toro” che corre lungo le mura del Castello di Copertino

Fig. 6 - Ma, d’altronde non è forse un affascinate gioco di rimandi (stavolta geometrici) che unisce il particolare laterale, dove, la chiesa di Tricase, si unisce al castello (accostamento intellettuale del concetto e reale elemento costruttivo) con un motivo a “greca”, del toro che si piega, su se stesso, ripetendosi, poi, ingentilito e bordato, sull’enigmatica facciata del S. Domenico di Nardò?

In questo caso, la piega delle paraste binate, funge da appoggio per un grande capitello, adeguato ad un ‘ordine gigante’ ben stabilito ed elegantemente organizzato. Un riferimento all’idea di Palladio realizzata nel palazzo vicentino di Valmarana? Ritengo molto probabile invece l’eco, invece, di Bramante soprattutto nella ricerca delle paraste binate angolari come nell’esterno del Duomo di Pavia o sul prospetto esterno del portico della chiesa di S. Maria presso San Celso, attribuito forse  al Solari o all’Amodeo o al Cesariano (l’artista del porticus persica. Comunque di derivazione dell’ambiente lombardo). L’alto e imponente stilobate (base dei templi greci e piano sul quale poggiavano i colonnati) d’altronde è un altro elemento importante a conferma del riferimento classico albertiano, per cui vale la pena ricercare e curare ancora questo aspetto legato all’archeologia e all’arte antiquaria come riferimento per l’abecedario filologico. Meno organizzata, se non contrastante rispetto alla razionalità delle alte paraste, risulta essere, invece, la finestratura centrale, dal ‘debole’ schema serliano. Le cornici superiori delle finestre laterali, più piccole, ‘arrogantemente’ invadono quella centrale, quasi sgomitando. L’intera finestratura quindi risulta incastrata, quasi ‘sommata’ con forza in un posto non suo. La composizione ne risulta praticamente indebolita visivamente, ma la parte inferiore soccorre a garantire la forza espressiva di una facciata che ancora oggi deve raccontare tante cose. Come il piano con la serie originalissima dei 13 Erma dal corpo fogliaceo alcuni del tipo ‘virile’ (14 con quello angolare più grande) che sostengono ‘strani’ omuncoli/telamoni dalle varie posture. Se Herma era il dio dei viaggi o dei limiti segnati, allora la facciata del primo ordine, comunica il percorso della vita, una sorta di ‘ri-simbolizzazione’ delle teste barbute tramutate in statue-stele a guardia dei territori oltrepassati dall’uomo nel suo viaggio terreno. Teologicamente Hermes è l’antico dio interprete, viaggiatore, esperto nell’uso della parola e pratico negli affari (ricordo a questo proposito che il fratello dello scultore della facciata di Nardò, Vincenzo Tarantino era teologo e priore del convento). La diversità dei copricapo e delle decorazioni delle teste barbute degli erma fogliacei che ‘sostengono’ i vari omuncoli telamoni, ascrivono dunque al ‘viaggio’ fisico e spirituale,  il ‘sostegno’ della conoscenza, da realizzarsi secondo i codici, le regole e l’ascetismo proiettati alla sola cristianizzazione e contro l’eresia (obiettivi prettamente domenicani). Per cui l’originale serie o piano degli Erma fitomorfici in facciata, possiamo tranquillamente confermare che non sia casuale, ma funzionale alla comunicazione dell’inderogabilità delle ‘regole’, da  privilegiare e rispettare durante l’esistenza, qui individuate da telamoni come creature/omuncoli. Alle quali, le pulsioni (animistiche) umane, rappresentate dai 13 erma, devono soggiacere.

Fig. 7 - Paraste binate con inserito un “toro”, nelle chiese di Tarantino a Nardò

Fig. 7 – Siamo partiti, dunque, dall’osservare un piccolo particolare, per arrivare all’approccio generale di un’opera; una modanatura classica ‘potrebbe’ dunque trasformarsi in una composizione scultorea presente in diverse opere dal Tarantino (sia chiese che campanili), ma potevamo partire dal generale, magari inserendoci in quel discorso importante dello spostamento concettuale e fisico della peristasi (perimetro colonnato attorno alla cella centrale ‘naos’ che da tempio greco, si trasforma in basilica, ‘solo’ inglobando le colonne, appunto!). Proprio in queste oscillazioni dimensionali, degli apparati scultorei che ci circondano; dalle possenti fortezze fino alle più piccole delicate cesellature e modanature, esistono tracce di saperi antichi che possiamo solo sfiorare con la brezza della nostra sensibilità. Affinarla è dunque, obbligatorio per poter comprenderne il percorso. Storie scritte con la pietra, i cui modelli espressivi arrivano anche da luoghi e tempi lontanissimi, interpretati e rimodellati dall’esperienza e dalla creatività. Vale sempre la pena, quindi, adoperarsi per difendere e conservare nel migliore dei modi queste nostre ricchezze, derivate da linguaggi antichi, conservati dalle pietre che la nostra conoscenza può sempre più, rendere ‘parlanti’.

Fig. 8 Particolare della facciata (S. Domenico a Nardò)

Fig. 8 – Gli erma fitomorfici sono 13 + 1 angolare (l’appoggio/pietra angolare di una chiesa, dunque, diventa una colonna ‘stele’?! Sì, ma sovrastato e dominato dalle regole scritte dall’ordine conventuale) sulla facciata di S. Domenico a Nardò. 13 sono anche gli angioletti di scuola napoletana ed i corrispondenti, sottostanti, telamoni reggi-balaustra, della chiesa di S. Croce a Lecce). Secondo un programma ideologico/iconografico sicuramente rispettato dai costruttori, lasciamo ai lettori ed ai curiosi stabilire possibili ipotesi sulla funzione degli omuncoli, sovrastanti gli erma fogliacei. Alcuni di loro, infatti, suggeriscono azioni, altri sorreggono pesi e altri invece ‘ascoltano’. Il fascino enigmatico della facciata, comunque, rimane.


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