Sto di nuovo partendo per una quattro giorni londinese. E siccome quando passi un weekend sulle rive del Tamigi non puoi certo permetterti di essere un quasi quarantenne, ma devi necessariamente far la parte del giovanissimo, e bere birra su un marciapiede dopo il lavoro, cenare al ristorante prima di andare a teatro per un musical, prepararti a una notte a fare il tour dei clubs più trendy, anch’io, che ogniqualvolta cammino per Soho e Piccadilly non riesco a resistere alla tentazione di atteggiarmi a swinging boy, ho liberato spazio sull’ipod che mi terrà compagnia nel mio ennesimo viaggio solitario, e sacrificato l’ultimo cd di Paolo Conte per far spazio ai successi del momento.
Così mi sono imbattutto nella grande novità Italian-dance che promette di far faville nelle classifiche dei downloads e, immagino (ma è solo una supposizione, visto che non frequento le discoteche da una decina d’anni), in tutti locali più trash.
Mi riferisco a “Fantastic”, il rappettino dai sapori televisivi in cui sono stati campionati tutti i peggiori strafalcioni di pronuncia inglese di Mara Maionchi.
Il pezzo – lo ammetto con la stessa faccia di tolla con cui molte volte ho confessato la mia passione per la musica neomelodica partenopea – mi piace un sacco, e più lo ascolto più mi vien voglia di farlo ripartire da capo. La base ha un ritmo travolgente, e quel sapore retrò della musica house che si ballava all’epoca in cui ancora facevo le notti brave sotto le luci stroboscopiche, e compravo tutti i mix 12 pollici dei riempipista (allora si chiamavano così).
Certo dovrò stare bene attento a non mostrarmi troppo preso dal beat negli auricolari, mentre ascolterò la mia hit del momento su Oxford Street, perchè rischio di farci una figura di stracacca, se dovessi farmi beccare da qualche modernissimo dj londinese aggiornatissimo in fatto di nuove tendenze tribal-acid-techno-trance.
Ve la immaginate la scena. Il re dei piatti e della drum machine tutto pieno di tatuaggi e pearsing mi nota all’HMV mentre ballicchio tutto concentrato sugli auricolari, e incuriosito dalla mia aria soddisfatta mi ferma per chiedermi: “Ehi you.. what are you listening to?” E io che arrossisco come un peperone e me la faccio sotto dall’imbarazzo mentre rispondo: “The new single by Mara Maionchi!”. Roba da rovinarsi la reputazione per sei generazioni a venire.
E’ che non posso farci nulla: sono fatto così. Per quanto me la tiri da intellettuale e raffinato pensatore, quando si tratta di gusti musicali da colonna sonora quotidiana, sprofondo tragicamente nel più bieco easy listening. E’ più forte di me: questo cattivo gusto da basso pop fa parte del mio DNA.
Spero mi capiranno tutti quelli come me che, preadolescenti nei primi anni ’80, sono cresciuti con Bimbo Mix (che all’epoca vendeva milioni di copie), i prodottini facili ma travolgenti della Baby Records di Freddie Naggiar e le starlettes da Festivalbar di Claudio Cecchetto.
Perchè, si sa: certi traumi infantili non si superano mai, te li porti dietro a vita.
Dunque a me non resta che cercare di fare pace con la parte meno fighetta di me e rassegnarmi. Potrò anche tirarmela da grande giramondo che oggi è al Ministry of Sound su Gaunt Street a Londra e domani al Twilo sulla 27ma a New York. Ma, nonostante ciò, ahimé, resterò sempre uno che, quando nessuno sente, ascolta di nascosto un rap di Mara Maionchi.
Fantastic.
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