Treno Mosa – Kiev – Chisinau, 20 mag 2011, giorno 130
Di nuovo in treno, di nuovo in terza classe. Il treno sarebbe partito alle 19:37, ma era già sul binario alle 17:30. Il saluto a Mosca non è proprio caloroso. Non è che sia stato male, solo che non sono stato nemmeno al meglio. Al momento di lasciare San Pietroburgo ero un po’ malinconico; al momento di lasciare Mosca sono entusiasta per la prossima tappa: Kiev, Ucraina.
La hostess del mio vagone mi prende subito in simpatia. Mi dice, mentre controlla il biglietto, che ha una parente che in Italia fa la badante e poi si scusa per il suo scarso inglese. Se sapesse quello che ho dovuto fare per comprare il biglietto probabilmente non si sarebbe scusata. Il treno è come quell’altro, solo che ad ogni primo finestrino di ogni vagone c’è un cartello che dice “Moskva – Chisinau”. In effetti sul treno ci sono molti moldavi, lo si capisce dall’enorme quantità di cartoni che si portano dietro e dal colore dei passaporti. Il mio compagno di viaggio, quello che dorme sotto di me, è un signore anziano che viaggia solo e che sorride spesso. Ha una faccia che ispira subito simpatia, ma a causa della barriera linguistica non entriamo molto in confidenza. La hostess, invece, sembra mia madre. Mi ha portato i fogli per la dogana e mi ha spiegato come compilarli, mi ha chiesto del visto, mi ha detto che se avevo voglia di un tè o di un caffè di farglielo sapere. Io gli ho chiesto solo se si poteva fumare e dove e lei mi ha detto: “Vai lì, ma solo tu!”. Cara signora. Forte di questo privilegio mi gusto una Camel Light cinese mentre il paesaggio russo mi passa davanti all’ora del tramonto. C’è tanta acqua in questa regione, soprattutto paludi. Gli alberi e le case ricordano un po’ la Lettonia, solo che il territorio è disseminato di paludi. Chissà le zanzare a luglio! Ad una fermata del treno scendo per prendere un po’ d’aria (la temperatura all’interno del vagone è 100% estiva) e la mia nuova amica mi chiede dove sono stato. Le racconto una sintesi del mio viaggio e la prima cosa che mi chiede è: “No scary?”, non hai paura? No, rispondo. E tu madre? Bè, lei più di me.
All’una e mezzo una poderosa mano mi sveglia e mi chiede: “Passport!”. La polizia di frontiera russa non si smentisce in fatto di buone maniere e meticolosità di controllo. Il mio passaporto viene passto ai raggi X e mi iniziano a fare un sacco di domande. Dove sei stato in Russia? Solo a San Pietroburgo, signore. E perchè sei sul treno da Mosca? Solo transito, signore! Ancora una volta la hostess è venuta in mio aiuto. Si è avvicinata e ha fatto da tramite linguistico tra me e la guardia. Se tutte le hostess e gli steward fossero così, le compgnie aeree fallirebbero.
So cosa vi state chiedendo: sì ho mentito alla guardia. Il fatto è questo: in Russia, ad ogni città che visiti, ti devi registrare. Questo significa che prendono il tuo passaporto, ti fanno un foglio che certifica dove sei stato e per quanto e poi te lo rilasciano. Naturalmente bisogna pagare. A San Pietroburgo Irina mi ha detto che per aggirare questa tassa, lei avrebbe potuto registrarmi per tutta la durata del visto a san Pietroburgo. L’unica cosa che dovevo fare era, se alla dognana mi chiedevano dove ero stato, dire che ero stato solo a san Pietroburgo e che partivo da Mosca ma ero solo in transito. Io avevo accettato e la cosa è andata a buon fine. Italia e Russia, in fatto di scappatoie, sono davvero simili.
Le guardie ucraine non sono state più gentili, ma il controllo si è sbrigato in fretta e adesso il treno sta correndo verso Kiev. Niente più controlli, niente fermate intermedie. La notte ucraina copre il paesaggio e dai finestrini non si vede nulla. Mi riaddormento: prossima fermata Kiev.