Ed è vero, dipende proprio da ciò che ci si aspetta. Io l'ho comprato quasi per caso. Mi era cascato l'occhio sulla copertina mentre gironzolavo tra gli scaffali di una libreria amica. Ed è stato un buon affare. Mi sono regalato una lettura popolata di emozioni, pur senza forzature ed effetti speciali.
Certe volte capita proprio così. Non bisogna tuffarsi nella trama, ma piuttosto abbandonarsi al flusso delle parole, che sono prima di tutto ricordi di luoghi, persone, stagioni. E la memoria può essere più affascinante di qualsiasi invenzione letteraria.
Dacia Maraini ritrova i diari compilati dalla mamma in Giappone, il paese in cui la sua famiglia decise di trasferirsi, lontano dall'Italia fascista. Diari privati, come dovrebbero sempre essere, chiaramente non pensati in vista di un qualsiasi lettore. Poche righe di tanto in tanto, senza nessun ordine, seguendo solo l'istinto o un'urgenza del cuore, più promemoria che altro.
Parole su cui si innestano i ricordi di Dacia bambina, ma anche le riflessioni della donna più matura, della scrittrice affermata. Non so dire bene cosa ne venga davvero fuori. Però è quasi come un film costruito con un montaggio nervoso e continui salti di tempo e di luogo.
Bella la storia di questa famiglia che prova ad allontanarsi dalla storia di un mondo che sta andando per il verso sbagliato, che dice no al fascismo e ai suoi tentativi di impero per andare in un posto che davvero sta su un altro pianeta. E intrigante questo Giappone, paese enigmatico e gentile, prima delle devastazioni della guerra e le accelerazioni del dopoguerra.
E quante cose vengono in mente, tranne poi ricredersi e convincersi che poi niente di tutto questo è davvero importante, che è il Giappone ma potrebbe essere anche il paese di Heidi, che quello che conta qui dentro sono solo gli affetti di una famiglia e il lavorio del tempo che passa e tutto cambia.