Freme di sdegno, attraverso il filo del telefono, l’inconfondibile voce profonda della cantante famosa, divenuta discografico di successo. Ed è uno sdegno che odora di spietata autocritica. Non si può dire che con lei – aggiunge Caterina – ci siamo comportati bene. Che l’abbiamo aiutata a sostenere il peso di una famigli così sfortunata, di una bravura non sempre riconosciuta, ma soprattutto di quella fama crudele che la perseguitava, perché si sa, nel nostro ambiente certe voci uccidono, è meglio essere ritenuto un assassino che uno iettatore. E noi avremmo dovuto impedirlo, che Mimì venisse considerata così.
Eppure, come non rammentare quel festival di Sanremo in cui -eravamo alla fine degli anni Ottanta – arrivò Eduardo De Crescenzo con una gamba ingessata, Dori Ghezzi aveva un polipo in gola, alcuni cantanti si trovarono a cantare rauchi e febbricitanti. Tra gli artisti in gara c’era Mimì, e i suoi detrattori ebbero buon gioco nell’attribuire alla sua presenza quella catena di indisposizioni che, pure si sarebbero potute legare ai rigori dell’inverno, o ai capricci del caso. Qualche giornale fece capire che una sorta di nemesi pareva essersi abbattuta su Festival. Nemesi con un none e un cognome, che nessuno osò scrivere ma che tutti intuivano. Anche se, a spiegare la catena di malanni, sarebbe bastato il clima insolitamente impietoso che, quell’anno avvolgeva Sanremo, la neve ammonticchiata ai margini delle strade.E lei? Non reagì a quell’ondata di maldicenze. Come non aveva reagito quando si disse di un suo fonico folgorato al mixer, o di un produttore rimasto vittima – si mormorava – di malefici influssi. Era una donna, Mimì, che le sofferenze preferiva tenersele dentro. Solo dopo molti anni le sarebbe scappato di dire: Sarebbe molto meglio avere l’Aids che essere considerata una iettatrice, una malattia la puoi affrontare, curare’ E poi l’Aids le avrebbe procurato meno solitudine di quanto non abbia fatto quella fama sinistra, quella credenza demenziale – come diceva in questi giorni Adriano Aragozzini, l’impresario che nel 1989 “osò” richiamarla a Sanremo – che l’ha uccisa.Si ritorna così al tema della solitudine, leit motiv di questa tragedia che pare scaturita da superstizioni arcaiche e invece si è consumata alle soglie del Duemila. Dice Mario Ragni, discografico: La conobbi anni fa, mi colpì il fatto che desse a tutti, anche a gente che non conosceva, il numero del suo telefonino che, di solito, i cantanti tengono rigorosamente segreto. Evidentemente aveva un bisogno disperato di comunicare, quel bisogno insoddisfatto che l’ha fatta morire di desolazione o di crepacuore.
Anche Ornella Vanoni, amica e collega, ritorna sul tema del delicato equilibrio psicologico della cantante e della sua vita sfortunata: Conoscevo bene Mimì – ha detto, chiamandola con l’affettuoso soprannome che aveva nell’ambiente musicale – l’ho vista nascere, mollare, tornare a nascere. Quando ci eravamo incontrate l’ultima volta, in autunno, mi aveva dato l’impressione di una donna disperata, che faceva ormai una gran fatica a vivere. Anch’io, in un periodo della mia vita ho fatto fatica ad andare avanti, e conosco certe facce, certe espressioni. Non so come sia morta, ma non dimenticherò quel viso, il suo senso straordinario, più da musicista che da interprete. Quando cantava, la sua intensità espressiva era enorme. Come se si aggrappasse alla canzone per sopravvivere.Cesare G. Romana Maggio 1995Mia Martini: una donna distrutta dalla cattiveria degli ‘amici’ di Diego Dalla Palma http://questimieipensieri.blogspot.it/2013/08/mia-martini-una-donna-distrutta-dalla_27.html Malcostume italiano. L’ostracismo a Mia Martini. Articolo di Nantas Salvalaggio http://questimieipensieri.blogspot.it/2013/01/nantas-salvalaggio-e-il-suo-omaggio-mia.html