Quella giornata particolare che crea una tregua alla morte

Creato il 26 gennaio 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Il senso di spaesamento che ha accompagnato la notizia della scomparsa di Ettore Scola non accenna a diminuire a una settimana di distanza. Sembra di vivere in una bolla, di quelle grandi e fragili che i bambini si affannano a inseguire in strada prima che il vento, impietoso, le porti via con sé. Non è mai facile parlare di un artista che è stato grande nel senso proprio del termine soprattutto se, all’indomani della morte, il circo degli omaggi ha cominciato a rispolverare i suoi trucchi migliori. Sono dell’opinione che, una volta venuti alla luce, i lavori di un autore abbiano vita propria e slegata da quella del loro padre e che, se realmente meritevoli, posseggano una forza di attrazione in grado di farli sopravvivere al tempo e alla tendenza all’oblio propria di gran parte del pubblico odierno. È inutile dire che i film di Scola rientrino a pieno titolo nella categoria di produzioni testimoni capaci di illustrare meglio di qualsiasi omaggio la bravura e la forza di un regista geniale, autentico perché vivo e attuale perché acuto. All’indomani di panegirici ipocriti e trasmissioni riempite di belle parole, la cosa migliore che si possa fare è accendere il proiettore e far parlare di nuovo le immagini, che non hanno bisogno di rumore, applausi scroscianti, solenni discorsi di cordoglio. Ciò che Scola ha lasciato al cinema italiano è un messaggio importante, da cogliere in silenzio nella lezione della sala, perché solo togliendo gli occhiali della retorica e asciugando le lacrime di facciata è realmente possibile cogliere ciò che oggi manca, davvero, a chi si appresta a voler raccogliere la sua eredità.

Non è il caso di immergersi ancora nell’ennesima riflessione sul cinema nostrano e le sue sorti tutt’alto che magnifiche e progressive tuttavia, per una sorta di scherzo del destino, Scola è venuto a mancare nel momento in cui i anche cinéphiles più pomposi si lasciavano semi incantare da un ben architettata operazione di marketing camuffata da riflessione sociale. Viene allora facile pensare a quanto, oggi più che mai, ci sia bisogno di lui, dei suoi film, di quella lezione che ha saputo dare con una risata amara e un’acuta visione su quella che era la società italiana, i suoi vizi, le sue abitudini. Vizi endemici, lasciati decantare sotto la corazza di un’ipocrisia feroce, pronta a schierarsi sempre dalla parte del potente, del capo carismatico, del tradizionalismo. E siccome il caso è avvezzo a giocare bizzarri tiri mancini, Ettore è scomparso anche nei giorni che precedono la manifestazione pro famiglia “tradizionale” che animerà il Circo Massimo di Roma. Nelle ore immediatamente successive alla sua morte Il Manifesto ha pubblicato una vignetta pungente e geniale, in cui le figure riprodotte di Sophia Loren e Marcello Mastroianni campeggiano accanto a un piccolo Duce sotto la scritta “Un Family Day particolare”. Se, come dice Italo Calvino, «un classico è un libro che non ha mai finito quel che ha da dire», la pellicola di Scola può a ben diritto essere considerata come il più attuale dei classici, il romanzo in forma di immagini capace di farci aprire gli occhi su una condizione – quella dell’omosessualità – ancora oggi soffocata da pericolose forme di discriminazione.

Una giornata particolare racconta il fugace ma intenso incontro tra Antonietta (Sophia Loren) e Gabriele (Marcello Mastroianni), due anime pure, semplici, emarginate. Lei, casalinga ai tempi del Duce, è relegata al ruolo di madre e moglie asservita mentre lui, radiocronista dell’EIAR, viene licenziato a causa della sua omosessualità. La giornata particolare è quella del 6 maggio 1938, data della visita di Hitler nella capitale addobbata di svastiche e stendardi neri. In un grande condominio popolare rimangono solo Antonietta, intenta a rassettare la casa e Gabriele, pronto a raccogliere libri e vestiti da portare con sé quando lo condurranno al confino. Due persone apparentemente diverse, eppure accumunate da un senso di infelice inadeguatezza che li vede subire passivi i ruoli imposti dalla società. Si conoscono, si amano, penetrano l’uno nell’anima dell’altra. I loro incontri cominciano per un caso fortuito che odora di libertà, il volo del merlo indiano che dal davanzale di Antonietta va a posarsi nella casa da uomo solo di Gabriele. Bellissimi, genuini e almeno per qualche ora padroni di se stessi i due sfidano il conformismo del palazzo, la malizia bigotta della portinaia («Siamo sempre noi a adattarci alla volontà degli altri» dice lui) e bevono caffè, insieme, in un condominio vuoto. Momenti di assoluta quotidianità scandiscono il tempo che sembra sospeso e giochi, confessioni, rimproveri e ritrosie allontanano per un attimo quel destino segnato che pesa sulle loro teste.

Antonietta è femminile, finalmente, nasconde le calze smagliate e tenta di mettersi un po’ di rossetto prima di pizzicarsi le guance e rientrare in salone. Gabriele è umano, è libero, finalmente conciliato con la sua natura tanto da urlare, in una delle scene più drammatiche, tutta la fierezza di non essere un uomo qualunque pronto a possedere le donne in modo animalesco. Un grido, il loro, contro la rigidità imposta dall’alto, un tentativo disperato di scegliere, almeno una volta, senza continuare a farsi scegliere. E sulla terrazza, tra i panni bianchi svolazzanti, l’essenza di quella libertà si condensa: «è da stamattina che ti guardo!», dice Antonietta prendendo le mani di Gabriele per coprirle di baci, supplicandolo:  «Vattene! Vattene!» al che lui, stanco di dissimulazioni, confessa di essere omosessuale. Il litigio, la corsa, il grido. Poi l’amore, quell’amore sbagliato perché inconcepibile per l’Italia del tempo, intenso perché capace di scardinare la rigidità del regime, delle classificazioni, dei rigidi schemi mentali che ottundono la mente. Si amano, un’unica volta. Poi tutto torna al suo posto, il palazzo si ripopola e Gabriele viene portato via mentre Antonietta, nell’ombra della sera, si avvia mesta in camera da letto per compiere il suo dovere coniugale. Allora, sia pure per un fugace momento, lo sguardo di entrambi porta con sé la speranza di coloro che, nonostante tutto, possiedono ancora la voglia di amare, di amare forte e realmente oltre qualsiasi retorica o icona di potere.

Una giornata particolare ci insegna ad assecondare la naturalezza dei gesti, i comportamenti non indotti, la verità opposta a quella che vorrebbe essere la volontà altrui. Mentre tutti scendono in piazza a prendere parte all’inganno tronfio del fascismo Gabriele e Antonietta vivono, e imparano, insieme a noi, quanto potente possa essere la verità di essere noi stessi.

Ginevra Amadio



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