Quella (non) domanda al colloquio

Da Stefano @bersatweet

Avevate indossato il miglior tailleur o la migliore cravatta su un completo quasi da cerimonia. Vi sembrava che il colloquio fosse stato incisivo ed efficace come non mai, l'intervistatore vi aveva dato segnali confortanti. Eravate quasi certi che il lavoro fosse vostro. Nell'attesa della telefonata, avete deciso di festeggiare in anticipo e così avete preso parte ad una sbronza epocale, certificata da un accurato servizio fotografico su Facebook. Chissà come mai, la telefonata d'assunzione non è mai arrivata.

Wired ci viene in aiuto e ci spiega perché: nel suo articolo Il 35% dei reclutatori boccia i candidati a causa di Facebook viene detto chiaramente che ciò che pubblichiamo può diventare oggetto di analisi in fase di recruiting. È giusto o sbagliato?

Partiamo da un assunto: il concetto di marketing nel ventunesimo secolo è completamente cambiato. Internet ed in particolare i Social Network hanno reso fruibile una quantità esorbitante di informazioni, recuperabili da fonti, giornali o riviste di tutto il mondo e in tutte le lingue. Se penso che quando facevo il Liceo le ricerche si potevano fare soltanto in biblioteca! È evidente che nel giro di vent'anni tutto è stato stravolto. Nonostante l'impegno da parte dei principali players di garantire al massimo la riservatezza delle nostre informazioni, per quanto si cerchi di proteggere noi stessi, siamo pubblici. Avere un account Facebook, Twitter o Linkedin comporta inevitabilmente la nostra presenza in piazza, dove ci mettiamo la faccia, nel vero senso della parola e per di più in maniera consapevole. Che non si dica che i Social rubano informazioni: se il candidato/a decide di postare le foto della sbronza di cui sopra, in cui la bellissima cravatta del colloquio è intorno alla fronte a mo'di bandana o la gonna del tailleur è stranamente diventata inguinale, non si può pretendere che queste foto rimangano sul pc, a meno che non si imposti la totale privacy sui contenuti dell'account. Se dunque consapevolmente avete deciso di farci sapere quanto vi siete divertiti quella sera (anche se non so quanta consapevolezza ci sia durante una sbronza), dovrete essere altrettanto consci che chiunque potrà vedere le vostre gesta. Anche il recruiter, che è attivissimo su Facebook. E dunque, se cambia idea riguardo le vostre performances, investigando il vostro profilo, non ci vedo nulla di male: del resto, il cambiamento del concetto di marketing riguarda anche la persona, non solo il prodotto.

Non a caso, nell'articolo si dice che occorre " diventare, almeno un po', social media manager di voi stessi": non si può pensare di sproloquiare sul proprio profilo Facebook, senza che questo possa in qualche modo essere considerato. Certamente ci si può appellare alla libertà di espressione, di stampa, di parola; si può cercare di convincere il nostro interlocutore che la nostra vita privata non influisce in alcun modo sul lavoro: tuttavia mi sembra giusto che i recruiters, che siano interni all'azienda, che siano società esterne, cerchino di avere quante più informazioni e referenze possibili. Del resto, sul curriculum ognuno può scrivere ciò che vuole e anche in fase di colloquio si può essere degli splendidi attori: ho fatto colloqui in Cina a persone che a livello di CV sembravano Einstein, salvo poi scoprire nel 90% dei casi che a malapena parlavano l'inglese (il cui livello, nella loro scheda, era definito fluent).

Ed ora tocca a voi: cosa ne pensate? Lo ritenete giusto o sbagliato? O addirittura discriminatorio?