Il futuro della Siria è senza Assad: questa in sintesi la posizione di Riyad, esposta dal ministro degli Esteri saudita Adel Jubeir a margine di una recentemente riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, al termine della quale è stata rilasciata una dichiarazione congiunta a favore di una soluzione politica senza alcun intervento straniero. Tra le righe, si è trattato di un chiaro invito a Mosca e Teheran a restare fuori dal conflitto, nel quale invece le nazioni sunnite sono pienamente coinvolte attraverso il sostegno economico e militare che da almeno quattro anni forniscono alle milizie anti-governative, ISIS incluso.
Il ministro Jubeir non si nasconde dietro a un dito: Assad deve lasciare il potere, e se su ciò non dovesse esserci un accordo tra le parti in lotta, l’opzione militare saudita a sostegno dei ribelli non sarebbe esclusa. Non si tratterebbe tuttavia di un impegno in prima linea dell’Arabia Saudita, anche perchè la presenza sul terreno di militari russi e soldati iraniani accanto ai lealisti rischierebbe di provocare un’escalation poi difficilmente controllabile.
Riyad mostra i muscoli, ma la linea dei paesi del Golfo è quella di continuare a sostenere le milizie che combattono contro l’esercito regolare di Assad con denaro e tecnologia, evitando, almeno per ora, un improduttivo scontro armato con la Russia. Il precedente a cui Arabia Saudita e i suoi alleati guardano è quello dell’Afghanistan degli anni Ottanta, quando i mujaheddin antisovietici venivano ben sostenuti dai petrodollari arabi, come accaduto anche più recentemente con i gruppi terroristici in Cecenia e Dagestan. Nelle due repubbliche autonome russe l’indipendentismo d’ispirazione islamico-wahabita viene sostenuto anche attraverso le numerose scuole coraniche sovvenzionate dai sauditi, che ambiscono alla costituzione di un Emirato fantoccio, una propria zona d’influenza sulle ricchissime riserve di petrolio e di gas del Caucaso e del Mar Caspio.