L’assist per ricominciare me l’hanno data alcune email ricevute poco tempo fa. L’ultima è di una ragazza che vive e lavora in Scozia da qualche tempo.
All’inizio tutto bene, poi ha cominciato anche lei, come è successo a me in Australia, a sentire qualcosa che non andava. Qualche scricchiolìo.
Il vento che cambia, la sensazione che qui sì, è tutto bello, ma manca qualcosa, oppure no, il posto va bene, ma sei tu, che ti ci sei catapultata dentro per mille motivi e per altri mille motivi sperasse andasse bene, che a un certo punto non ti ci ritrovi più. Questa ragazza mi chiede cosa deve fare, non ha il coraggio di parlarne con i suoi, non sa che fare e pensa di essere unica o quasi a sentirsi così. Ho provato a risponderle.
E per farlo mi sono per forza catapultata indietro negli anni, quando anch’io, in terra australiana, ho cominciato a sentirmi a disagio.
Chi rimane a casa ti appoggia, crede nella tua missione, e si aspetta qualcosa. E’ inevitabile. E tu che ti ritrovi all’estero, in quella stanza di una casa non tua, in un mondo che non riesci più a sentire tuo, ti senti crollare tutto addosso. Il lavoro che credevi stupendo comincia a perdere il suo fascino, quella società che vedevi perfetta presenta dei lati oscuri che prima non avevi notato e cominci a fare i paragoni con il tuo paese, quello che odiavi tanto, quello da cui sei scappato.
Come fare a dirlo? Con che coraggio comunicare ad amici e parenti che no, non ce la fai più, che no, non è quello il paese giusto. Che tu, che tanto criticavi il tuo paese, adesso ne senti tremendamente la mancanza.
Come si fa a comunicare una cosa del genere? Alzare il telefono o scrivere un’email con le mani che ti tremano e pensare alle parole da dire, a come dirle. Non è facile.
Io ho realizzato che l’Australia non facesse più per me in modo graduale, ma il vero evento che ha segnato la mia fine in terra australiana è stata la breve vacanza in Italia, dove ho respirato di nuovo quell’aria familiare, ho rivisto quella luce, sentito quei rumori che ho sempre considerato e sempre considererò casa.
Il caffè sul lungomare, la focaccia appena sfornata, i caruggi di Genova sempre tremendamente sporchi e tremendamente affascinanti. Il modo di fare delle persone, italiani con tanti difetti ma pure tanti pregi, brontoloni ma anche generosi. Italiani furbetti, ma anche conoscitori dei propri limiti e non troppo amanti del bere fino a star male, fino a vomitare e spalmarsi per terra al sabato sera. Un popolo che non si ama, il nostro, e che invece io ritengo amabile da tanti punti di vista.
Ho ricominciato ad apprezzare questo paese e il mio popolo dopo quella breve vacanza italiana. Tornata in Australia, nulla è stato più come prima.
Nel mio libro spiego questo passaggio nel dettaglio: ricordo ancora bene i pianti, le crisi sul lavoro, le volte che sono scappata in bagno a guardarmi allo specchio, con la divisa stropicciata, il vassoio con cui portavo da bere ai clienti appoggiato al lavandino, la porta chiusa da dentro, per ricavarmi due minuti per me e riprendermi da quell’angoscia. A chi potevo dirlo?
Avevo fallito? Cosa era successo? In cosa si misura il fallimento in un’esperienza del genere? Perché non si è trovato il lavoro giusto, l’amore, non ci si è integrati con gli amici e i colleghi del posto?
Vedevo quel mondo australiano cadermi a poco a poco addosso, sgretolarsi in piccoli pezzi. Mi affannavo per rimetterli a posto, perché no, non poteva essere, mi ero giocata tutto venendo qui, mi ero convinta che sarebbe stata la scelta della vita, non poteva cadere tutto. Poi a furia di rimettere a posto quei pezzi che continuavano a cadere, ho preso atto che per me era giunto il momento di tornare.
Ho avuto la fortuna, e ho la fortuna, di avere una famiglia che mi ha sempre sostenuto, sia quando chiamavo i miei tutta felice, i primi periodi, sia dopo, quando è calato il buio. Io mi sentivo una fallita, ma per loro era tutta esperienza, andava bene così.
Per cui a chi sta vivendo un’esperienza simile, chi si trova solo e d’un tratto sente gli scricchiolii, il pavimento che cede, il muro di certezze su cui avrebbe scommesso tutto sgretolarsi a poco poco, dico di fare un bel respiro. Va tutto bene. Succede a molte più persone di quanto crediate, non siete gli unici a sentirvi così.
Se il posto dove siete adesso non vi convince più, chi vi ama e vi sta vicino lo comprenderà. Parlatene, non tenetevi tutto dentro. Se è destino che dovete rientrare in Italia, ebbene fatelo. Non volete rimanere nel Belpaese? Provate da un’altra parte. Conosco ragazzi che viaggiano perennemente e cambiano spesso paese. Anche questo è un arricchimento e anzi sono dell’idea che più paesi visitate e vivete, più la vostra esperienza si rinforzerà.
Non tenetevi tutto dentro, non continuate a sistemare i pezzi cascanti di quel muro per orgoglio, ostinazione e falso convincimento.
Io stessa quando sono tornata, nonostante la voglia di rimanere in Italia, mi ero riproposta di ripartire entro un certo lasso di tempo se non avessi trovato lavoro: la mia destinazione sarebbe stata il Canada. Poi il destino ha giocato le sue carte e sono rimasta qui.
Me ne pento? Direi proprio di no.
Anzi benedico, col senno di poi, quella crisi, quei dubbi, gli scricchiolii che non erano altro che i tentativi della mia coscienza di svegliarmi e prendere atto che non era lì il mio destino.
A volte, mentre guardo mio figlio, mi viene da pensare: “E se invece avessi trovato l’amore o il lavoro laggiù, che cosa sarebbe successo?”. Forse sarei rimasta o forse no. Di sicuro mio figlio non ci sarebbe. E mi basta questo pensiero per capire che ho fatto bene a tornare.
Di poche scelte della mia vita vado fiera o sono stata particolarmente sicura: la scelta di partire per l’Australia e la scelta di tornare in Italia sono fra queste.
Quando oggi qualcuno mi chiede: “Ma perché sei tornata dall’Australia?” non rispondo più come i primi tempi: “Non mi trovavo bene, mi ero stufata, non faceva per me”….
Rispondo semplicemente: “Perché sì”.
Quindi, cari italiani all’estero in piena crisi, se tornate e qualcuno vi tira le battute o vi dipinge come un matto per aver fatto una scelta del genere, alla fatidica domanda, non dilungatevi in lunghe e inutili spiegazioni, ma rispondete esattamente come faccio io. :-)
Perché sì.